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Mafia, nuovo processo d’appello per Matteo Allegro dopo l’annullamento della condanna in Cassazione

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Si aprirà a settembre in Corte d’appello il nuovo processo d’appello all’imprenditore nisseno Matteo Allegro, 38 anni, chiamato a rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa; nuovo processo resosi necessario dopo che la Cassazione, nella scorsa primavera, ha annullato la condanna a 6 anni che gli era stata inflitta in passato, rinviando gli atti all’ufficio nisseno.

La Corte d’appello di Caltanissetta dovrà dunque tornare a valutare le accuse all’imprenditore – il quale aveva scelto il rito abbreviato – ritenuto dagli inquirenti e dagli investigatori della Squadra mobile colui che aveva messo su un piccolo impero grazie all’attività nel settore dei videogiochi elettronici, le slot machines in particolare ma grazie a un presunto appoggio di Cosa nostra. La mafia, secondo l’accusa, aveva favorito Allegro facendo in modo che i titolari dei locali si rivolgessero alla famiglia Allegro perché fornisse loro le macchinette e, sempre secondo quanto ipotizzato dagli investigatori, le macchinette stesse sarebbero state “taroccate”, cioè programmate per garantire basse possibilità di vincita e anche non collegate al sistema dei Monopoli di Stato, in modo che fosse evitato il pagamento delle tasse.

Ma per Allegro, coinvolto nell’inchiesta “Les jeux sont faits”, l’accusa era quella di essere legato a filo doppio con Cosa nostra nissena; Allegro ha sempre negato di avere avuto legami con la mafia.

Il suo legale, l’avvocato Dino Milazzo aveva sostenuto che non era emerso alcun elemento certo che certificasse il legame tra Allegro e la mafia nissena, in particolare con Giuseppe Dell’Asta, sostenendo, nel proprio ricorso in Cassazione: “Le stesse dichiarazioni di collaboratori di giustizia, un tempo esponenti di spicco della mafia, come Carmelo Barbieri e Massimo Billizzi, fanno capire come non ci fosse nessun accordo tra Cosa nostra e gli Allegro, smentendo quanto sostenuto, ad esempio, da Elia Di Gati”. La difesa aveva inoltre sosotenuto che, nei vari processi celebrati in passato, non era venuta a galla l’esistenza di un gruppo criminale che faceva capo a Giuseppe Dell’Asta (condannato si per mafia, ma senza l’aggravante di avere avuto un ruolo di vertice) e che lo stesso Dell’Asta non aveva invece riportato condanne per fatti riguardanti le slot machines.

Ma per la difesa c’erano grosse lacune anche nella motivazione della precedente sentenza emessa dalla Corte d’appello visto che non sarebbe stato chiarito con precisione il percorso logico dei giudici.

 

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