Assenteismo al Comune di Caltanissetta, depositata la motivazione della sentenza del processo di primo grado
Dichiarazioni basate sulle risultanze investigative assolutamente credibili e piena attendibilità dei filmati in cui venivano mostrati i presunti casi di assenteismo al Comune di Caltanissetta.
Sono questi i capisaldi su cui si regge la sentenza di primo grado con cui il giudice monocratico Tiziana Mastrojeni ha condannato 31 dipendenti comunali – lo scorso 3 maggio – per i presunti casi di assenteismo al Comune di Caltanissetta, decidendo anche 13 assoluzioni piene e altre parziali. Con gli imputati condannati – accusati a vario titolo di truffa alla pubblica amministrazione e falso – che hanno presentato o stanno presentando appello (i termini scadranno nei prossimi giorni); da capire cosa ha deciso di fare la Procura nei confronti degli assolti.
Nelle 466 pagine di motivazione la giudice Mastrojeni ha affrontato tutte le singole posizioni degli imputati, dedicando appositi paragrafi alla valutazione degli elementi di prova, su alcuni dei quali, nel corso del dibattimento, erano state ravvisate lacune da parte della difesa.
Uno degli aspetti cruciali riguardava i filmati – registrati dalle telecamere piazzate dai carabinieri nei locali dell’Ufficio tecnico e della Polizia municipale – in cui venivano mostrati dipendenti che timbravano per conto di loro colleghi in entrata e in uscita dal posto di lavoro. Secondo quanto emerso dalle consulenze di parte non erano stati presi tutti gli accorgimenti per assicurare l’immodificabilità delle immagini, soprattutto in relazione ad alcuni tagli che sarebbero stati ravvisati.
“Si ribadisce la generale attendibilità delle informazioni veicolate dai video. I filmati sono stati immagazzinati fin dal principio in due differenti gruppi di hardware (computer o altre periferiche): uno destinato all’autorità giudiziaria e uno alla polizia giudiziaria, senza effettuarne alcuna copia – scrive la giudice Mastrojeni nella motivazione -. Di conseguenza, ambedue i supporti contenevano i file originali che dovevano essere originariamente identici. Anche a seguito di una manomissione involontaria non possono apparire immagini differenti da quelle originariamente registrate , né queste ultime possono presentarsi in differente ordine/orario. Perciò, atteso che nessuna delle parti ha mai neppure ipotizzato che vi fosse stata una manomissione volontaria, va ribadita la complessiva idoneità dei video a provare i fatti contestati nel processo”.
Altro punto cruciale del processo le dichiarazioni del maresciallo dei carabinieri Giovanni Eramo, l’investigatore che aveva su di sé il “peso” del grosso delle indagini: fu lui il primo teste a essere sentito e la sua deposizione durò diverse udienze tra esame dell’accusa e il serrato controesame delle difese. Fu lui a documentare i vari episodi di presunto assenteismo in aula e a raccontare la genesi delle indagini, sottolineando come fosse stato il dipendente della Polizia municipale Michele Consaga a timbrare il cartellino della moglie Michela Anna Di Marco, che si trovava in casa in quel momento.
“Il maresciallo Eramo – si legge a pagina 236 – è pienamente credibile, avendo egli riferito delle circostanze apprese nel corso del servizio in maniera puntuale ed equilibrata. Non risultano motivi di astio nei confronti degli imputati, le sue dichiarazioni sono state precise e coerenti in quanto risulta che non si sia mai contraddetto sulle circostanze che gli sono state domandate ripetutamente dal pm e dai difensori. Gli errori a cui è andato incontro sono stati infinitesimali a fronte della molteplicità delle condotte contestate sulle quali ha riferito e sono stati trovati riscontri quasi totali nelle risultanze dei cartellini mensili degli imputati (in merito alle timbrature di entrata e uscita dei dipendenti analizzati nel processo)”.
Articolo di Vincenzo Pane – La Sicilia