Perfect Sensuality. L’eroe americano – Capitolo settimo
New York
Thomas era nel suo studio e stava riordinando degli incartamenti, lavorare lo aiutava sempre quando aveva pensieri per la testa.
Aprì un cassetto, vide una foto che ritraeva il volto sorridente di suo figlio Anthony e della sua ex moglie. Una bella istantanea scattata pochi mesi prima che lui e Joe si mettessero insieme. Suo figlio gli somigliava molto, era biondo. Rispetto a lui, Anthony, aveva tanti capelli folti, lisci, due grandi occhi celesti come la madre.
Accarezzò la foto e il volto di suo figlio che non vedeva da troppo tempo. Era cresciuto, ed era diventato proprio un bel ragazzo, gli mancava da morire. Sentì crescere un nodo alla gola. La sua ex moglie non l’aveva certo agevolato chiamandolo pervertito maniaco, davanti a lui. Lui ce l’aveva messa tutta per essere presente nella sua vita, ma l’ex moglie l’aveva ostacolato duramente. Ma alla fine aveva capito che non era giusto rinunciare a se stesso e all’amore per Joe… che era veramente felice per la prima volta in vita sua, e che aveva provato qualcosa di troppo forte dall’inizio. Lui si era illuso che con il tempo il suo ragazzo che nel frattempo stava crescendo, l’avrebbe capito e accettato. Invece era finita in quel modo.
Poco dopo entrò suo fratello Martin.
-Ehi, sei ancora qui?-
-Sì. Metto a posto .-
Martin chiuse la porta e lo osservò. Vide la foto tra le sue mani e poggiò una mano sulla spalla del fratello che aveva un viso triste.
-L’ho visto ieri, sai? Sta bene. Io se vuoi gli parlerò ancora. Adesso è grande, andrà all’università a settembre. Potrebbe capire meglio quando si allontanerà dall’influenza della madre, pian piano vi ritroverete, vedrai. Allora? Ci provo ancora?-
Thomas aveva un nodo alla gola e non riusciva quasi a parlare. Ma sorrise a suo fratello che in quegli anni era stato l’unico della famiglia a non averlo abbandonato.
-No, non servirebbe. Presto andrò io da lui, di persona. Comincerà a frequentare medicina… e io il primo giorno di lezioni sarò lì, che a lui piaccia o meno. È sempre mio figlio, sangue del mio sangue. Io gli voglio bene anche se mi ha rinnegato. Lo perdono, è stato cresciuto nel rancore e non è per colpa mia, né per colpa sua. Il nostro vero nemico è un altro.-
Martin era di parere diverso. Thomas pensava all’ex moglie, ma per lui tutto quello che era successo era per colpa di Joe detto “lo Squalo”. Ma all’epoca si era dovuto arrendere a quell’amore improvviso che aveva travolto senza scampo suo fratello.
Thomas posò la foto e prese il telefono. Controllò un attimo le chiamate, ma non ce n’erano.
-Notizie del tuo Squalo?-
Thomas lo guardò indeciso, non poteva confidare le sue paure al fratello maggiore. Lui aveva digerito a mala pena la presenza ingombrante e ostinata di Joe nella sua vita. E per fargli accettare il suo cambiamento aveva fatto un patto con il fratello:
“Ok fratellino, sei cambiato, ne devo prendere atto… e io non sono intollerante come papà. Ma attento, lo sopporterò solo se ti renderà felice. Appena sgarra … lo Squalo, è fuori dalle palle in un baleno!”
Thomas aveva quelle parole scolpite nella mente. Ma per cinque anni meravigliosi, non erano servite… lui e Joe erano stati affiatati e felici.
Ma ora da qualche mese Joe era diverso. E non aveva il coraggio di ammetterlo nemmeno a sé stesso.
A Martin, in vista dello scandalo imminente di cui aveva parlato Joe al telefono, doveva comunque dire cosa stesse succedendo a Belo Horizonte.
Thomas si fece coraggio e raccontò la pericolosa avventura che stava affrontando il suo compagno.
Martin lo ascoltò perplesso. E parlò in quel modo colorito che lo caratterizzava.
-Cazzo… proprio le palle a Homer Nesciville, quel pervertito mezzo brasiliano, doveva frantumare? Sei riuscito poi a contattare il tuo amico all’ambasciata?-
-Sì, Richard si sta muovendo, appena mi chiamerà dirò a Joe cosa fare. –
Martin gli diede una pacca sulle spalle sospirò e sentì il suo cellulare vibrare
-Io devo andare. Ma… fammi saper se serve anche il mio aiuto, non esitare fratellino, ok?- Ma prima di uscire dall’ufficio, l’uomo, guardò dritto negli occhi Thomas.
-Un tempo sarei saltato di gioia, se qualcuno avesse fatto sparire Joe Stevenson dalla faccia della Terra, per il terremoto che ha portato nella tua vita. Ma dato che c’è di mezzo il cuore del mio fratellino, io se serve, darò il mio contributo. Ok ? Dico sul serio.-
Thomas gli andò incontro e lo strinse a sé per un secondo, grato dell’affetto e del sostegno. Martin era un fratello irruento e a tratti prepotente, ma si era dimostrato eccezionale nell’accettare la sua omosessualità. I due fratelli dopo l’abbraccio confortante si separarono.
Rimasto solo, Thomas, conservò la foto del figlio e dell’ ex moglie. Si guardò attorno. Ne vide un altra, sulla scrivania di Joe. Una bella cornice di legno, con dentro una foto di loro due abbracciati e sorridenti . Era stata scattata durante una gita romantica a Parigi, fatta due anni prima. Erano stati tre giorni stupendi. Improvvisi e goduti al massimo.
Loro non solo dividevano casa e lavoro, ma anche l’ufficio.
Forse, si disse, per Joe era risultato tutto troppo soffocante?
Lui era sempre stato un uomo libero, nei costumi e nella gestione della sua vita. Lo amava lo stesso da morire, anche con tutti i suoi difetti. E non se lo sarebbe fatto scappare per niente, e per nessuno. Quella crisi sarebbe passata presto, si disse.
Prese la foto, sorrise e la strinse al petto. In quell’istante gli mancò tantissimo. Lui ne aveva una simile e la teneva esposta proprio come l’amore della sua vita. Quella gita era stata sempre desiderata da entrambi. Era stato un periodo di intenso lavoro e quella partenza e l’aria romantica della bella Parigi li aveva rinfrancati. Si guardò riflesso nella vetrina dei liquori poco distante. Joe era stato un uragano per lui, pacifico padre di famiglia sposato che minimamente sospettava di essere gay.
O meglio, un certo solletico intimo l’aveva provato tanto tempo fa nelle docce da ragazzo, dopo gli allenamenti, ma la famiglia cattolica oltranzista e paura di scoprire una parte nascosta di sé, l’aveva tenuto lontano dalle tentazioni. E poi, conoscere Carla, la prima e unica donna della sua vita, era sembrato l’unico destino possibile.
Sospirò, pensando a quando Joe gli aveva messo gli occhi addosso, dopo essere stato assunto. Quando nel ripostiglio, dopo mesi di corteggiamento sottile, l’aveva schiacciato al muro e l’aveva baciato in maniera focosa. Il suo corpo si era come svegliato da un profondo coma.
Non si era mai sentito così vivo. E si era accorto di amarlo pazzamente, di vivere per lui e di lui. Di avere esigenza di doverlo toccare e amare.
A un tratto il suo cuore fece un balzo, il suo cellulare squillò e vide scritto sul display “Joe amore”.
Rispose con il cuore in gola.
-Amore mio… allora? Tutto ok?- Ma il sorriso si spense. Joe era più freddo che mai.
******
Belo Horizonte.
Dall’altro capo del filo ci fu un attimo di silenzio, qualche disturbo nella linea e la voce di Thomas forte e decisa che lo chiamava “amore mio.”
In quell’istante Joe si sentì un vigliacco. Un pezzo di merda.
Si fece forza. Ma che andava pensando?
Era lui il suo uomo. Per quel ragazzo biondo era solo attrazione fisica, si disse. Anche se era il colore degli occhi e la sua voce che l’avevano colpito.
-Sì, tutto ok. Scusami se non ho chiamato, ma si è scaricata la batteria e ho preferito spegnere.- Disse cercando di giustificare dentro di sé tutto quello che aveva provato per Miguel, come momentanea confusione.
Joe si fece forza e cercò di rimettere a posto tutti i pezzi, aveva solo toccato una piccola follia, ma se si fosse messo d’impegno, quella bufera sarebbe passata. Forse non era il caso di portare Miguel in America, Thomas non avrebbe gradito. Al ragazzo non aveva detto nulla, meglio così, pensò. E a Pablo avrebbe parlato appena possibile. Per Miguel, lui e il detective, avrebbero trovato un’altra soluzione. Lui sarebbe tornato alla sua vita e il ragazzo magari sotto qualche programma di protezione.
Non avrebbe mai dimenticato quegli occhi, quel sorriso… quella voce, ma nemmeno poteva distruggere tutto quello che aveva costruito con Thomas. Lui non se lo meritava.
Joe faceva fatica però a seguire tutte le domande che il suo compagno gli stava facendo. E soprattutto non riusciva a dirli amore come invece stava facendo lui.
Thomas gli raccomandò qualcosa a proposito di un certo Richard Brown dell’ambasciata. E di chiamarlo subito.
Miguel entrò nella stanza e gli sorrise. Gli andò vicino e lo fissò curioso.
Evidentemente non capiva una sillaba di inglese.
Joe e tutti quei discorsi fatti in precedenza, si sbriciolarono come biscotti.
Quei grandi occhi verdi erano letali.
Perché, si disse, quel ragazzo doveva fissarlo proprio in quel modo?
Lui si girò, sospirò e cercò di parlare a Thomas senza la stupenda visione di Miguel che lo osservava. Anche con i lividi, e gli occhi pesti, era bellissimo.
Miguel pensò che forse lo stava infastidendo.
Si alzò dal bracciolo del divano e stava per andare via, quando Joe si era rigirato e lo aveva fissato. Uno sguardo carico di forte intensità.
Lui si era fermato, Joe stava appuntando un numero su un foglietto di carta e gli venne difficile con una mano sola.
Miguel gli andò vicino e gli tenne con due dita il pezzo di carta.
I loro visi, vicini, si fissarono. L’odore dolce e pulito di Miguel lo invase.
Joe si fece ripetere il numero tre volte, era distratto dalla presenza del ragazzo. Miguel voleva solo rendersi utile, aiutandolo a prendere l’appunto, ma Joe sembrava rimbambito.
Finalmente Joe riuscì a segnare il numero, ma non ricordava cosa doveva dire a questo Richard. La batteria lo abbandonò di colpo.
Miguel vide l’atteggiamento turbato di Joe che forse stava ricevendo delle brutte notizie, lui parlava l’inglese con l’interlocutore in questione e lui non ci capiva niente. A scuola l’aveva studiato, ma Joe lo parlava troppo velocemente. Poi pensò a Portes, lui se la sarebbe cavava meglio in inglese, ne era certo. Era la sola materia in cui lo batteva. Pensando al suo migliore amico, sospirò dentro. Gli mancava la sua forza e il suo coraggio. Ma il bel viso dell’uomo che aveva di fronte sembrava turbato, e lui si dedicò al suo “eroe americano” che stava rischiando la vita insieme a lui.
Joe si sentiva stanco, come dopo una maratona. Tutto troppo strano, per uno come lui che nella vita aveva sempre avuto le situazioni sotto controllo. Lui era un maniaco del controllo. Nella vita lavorativa e in quella di coppia, era sempre lui che reggeva tutto. E a Thomas questo modo di fare era sempre andato bene.
Ogni tanto avevano avuto qualche piccolo scontro, ma Thomas per lo più lo lasciava fare.
Joe aveva l’ultima parola sempre su tutto. Joe si disse se era stata proprio la sua naturale remissività a farlo stancare.
Cercò di concentrarsi solo sul viso di Thomas e al suo dolore, se avesse saputo quello che c’era nella sua testa e nel suo corpo in quel momento.
Poi l’avvocato, lo Squalo, osservò frastornato un ragazzino ingenuo e privo di esperienza di vita, che lo stava mettendo sotto sopra.
Stava spazzando ogni sua certezza e sicurezza. Una cosa del genere non gli era mai successa.