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Omicidio Aldo Naro, i legali: “Fu un pestaggio, non una rissa, ripartano le indagini”

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Il telefonino della vittima rivela una conversazione shock. I colleghi scrivevano: “Stasera sarà una catastrofe”. I familiari: “Gli amici tacciono”

 

Il silenzio degli amici e della fidanzata, le lacune nelle indagini, un pestaggio che è finito sotto processo come rissa. Per la famiglia di Aldo Naro, il medico ucciso la notte di San Valentino del 2015 nella discoteca Goa, sono tanti i buchi neri ancora da chiarire dopo oltre tre anni. E lo dicono in aula gli avvocati Antonino e Salvatore Falzone, che difendono la famiglia del ragazzo ucciso a 25 anni nel procedimento per rissa dove sono imputati amici della vittima e buttafuori del Goa.

Al giudice per l’udienza preliminare Fernando Sestito, che celebra il processo in abbreviato, la famiglia adesso chiede che le indagini ripartano da zero. Su un punto, i genitori Rosario Naro e Anna Maria Ferrara, continuano a chiedere chiarezza: il silenzio di chi ha visto. Dicono: “Agli amici chiediamo: “Trovate il coraggio di dire ciò che avete visto”. Ciò che non ci dà pace è che quella notte non è importato a nessuno di Aldo. Nessuno ha provato pietà per la solitudine, il terrore, il dolore fisico e soprattutto morale provocato dall’abbandono”.

GLI AMICI
Quella sera Aldo Naro era al Goa insieme alla fidanzata e a una decina di amici dell’università. Avevano riservato un tavolo nel privé Nelle immagini sequestrate si vedono, di spalle, la fidanzata e due amici, ripresi dal cellulare di un partecipante alla serata proprio nel momento in cui qualcosa nella serata in discoteca va per il verso sbagliato. “Si vede che sono rivolti verso la scena in cui Aldo Naro viene portato via dal privé. Eppure gli stessi, tra i quali gli imputati Bonura e La China, hanno detto che non avevano visto Aldo”, ha detto in udienza l’avvocato Antonino Falzone.

Nell’aula 24 del tribunale di Palermo, nel processo che va verso la conclusione, ieri c’è stata l’arringa della difesa. A giugno il pm Claudio Camilleri ha chiesto l’assoluzione per Natale Valentino, Carlo Lachina, Giuliano Bonura, Pietro Covello. Chieste le condanne a due anni ciascuno per rissa per Giovanni Colombo, Daniele Cusimano, Mariano Russo e Giuseppe Micalizzi. Condanna a due anni per favoreggiamento è stata chesta anche per Francesco Meschisi. In una conversazione intercettata all’interno degli uffici del nucleo investigativo dei carabinieri la notte dopo il delitto – per il quale è stato condannato a 10 anni un buttafuori minorenne e abusivo – tra Massimo Barbaro, il titolare del locale, Carlo La China, amico di Naro, e un buttafuori, sembrerebbe che Carlo La China sapesse cosa era successo attorno a lui. “Tanto che conferma innanzitutto che quando Aldo esce dal privè “esce anche l’altro Joker, quello con la cosa verde” (cioè Giuliano Bonura)”. “È quanto emerge da quella intercettazione”, spiega l’avvocato Falzone. Ma davanti ai carabinieri poi questa versione non viene confermata.

IL CELLULARE
Dopo la notte tragica in discoteca vengono sequestrati 55 telefoni. Solo qualche giorno dopo la fidanzata del giovane medico consegna alla madre il telefono del proprio figlio. In mano agli investigatori c’era un altro telefonino “già in uso a Aldo Naro”. “Lì dentro c’erano mille pagine di chat e messaggi vocali che avrebbero potuto offrire interessanti spunti investigativi”, dice l’avvocato Antonino Falzone.

In una conversazione di qualche ora precedente al delitto, estrapolata dal consulente di parte, gli amici di Naro parlano della serata da trascorrere insieme. “Prevedo la catastrofe”, scrive un amico. E un altro: “Voglio la rissa con l’amico di Giuliano (Bonura, ndr), vengo munito di stampella”. E Bonura risponde: “Chi è il mio amico?”. “Quello che ti ha prenotato il tavolo”, risponde.

PESTAGGIO
Per la famiglia Naro quello della notte del 14 febbraio non fu un omicidio maturato al termine di una rissa ma un pestaggio. “Nessun certificato medico di altri feriti, a parte la morte del povero Aldo Naro che venne accerchiato da cinque a dieci persone”, ricostruiscono i legali nella loro memoria conclusiva di 40 pagine depositata al gup Fernando Sestito. Per questo motivo nella conclusione della arringa gli avvocati hanno chiesto che le carte vengano inviate nuovamente alla procura per indagare su un pestaggio e non su una rissa. La famiglia in una lettera letta davanti al giudice ha chiesto, ancora una volta, giustizia e non vendetta: “Noi vogliamo solo sapere come è morto nostro figlio”.

LA TELECAMERA
Secondo la difesa c’è poi un giallo attorno a una telecamera non ritrovata nel privè. Eppure un testimone, l’addetto a staccare i biglietti, ha dichiarato ai carabinieri che “c’è una telecamera rivolta verso l’ingresso del privé dove si trovava il ragazzo poi deceduto”. “Ma quelle telecamere vennero sequestrate 12 ore dopo e il consulente del pm ha dichiarato in udienza che è possibile manomettere completamente i filmati in un tempo anche inferiore a 12 ore”,  hanno ricostruito in aula gli avvocati della famiglia del medico.(Repubblica)

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