La polemica sul capitello ritrovato nel nisseno, il soprintendente Vullo: “Non è una bufala come ha dichiarato qualche commentatore improvvisato”
L’ampia risonanza e le successive contestazioni suscitate dai recenti rinvenimenti archeologici effettuati a Gela durante i lavori di infrastrutturazione condotti da Enel, richiedono un intervento chiarificatore ed una replica da parte dell’Istituzione – la Soprintendenza di Caltanissetta- che ha seguito fin dall’inizio l’indagine archeologica sia con proprio personale che attraverso l’attività, puntualmente relazionata, dell’archeologa nominata dalla ditta esecutrice dei lavori e che è la sola al momento – non è superfluo ricordarlo – ad avere la piena cognizione delle circostanze e delle modalità del ritrovamento. Sono, questi, fattori la cui imprescindibile rilevanza, ben nota ad ogni archeologo praticante, occorre in questa circostanza porre nella giusta evidenza anche per il lettore medio, al quale non meno che agli specialisti è in primo luogo diretto questo chiarimento.
Pienamente disponibili al confronto e pronti a valutare con la massima obiettività le diverse interpretazioni che sono state avanzate da studiosi, esperti e docenti di archeologia, si è tuttavia avuta l’impressione che giudizi così netti, formulati sulla base della sola documentazione fotografica diffusa dai media, possano essi stessi aver peccato di una qualche precipitazione, soprattutto perché non tengono in considerazione (non avendone i loro autori alcuna cognizione) il contesto stratigrafico dei ritrovamenti alla cui importanza sopra si è accennato.
E’ stato dichiarato (come riportato su queste stesse pagine di “Repubblica” – cronaca di Palermo- 10 luglio) che il “semicapitello” (secondo la definizione di Dario Palermo) o il “capitello di parasta” (secondo quella di Paolo Giansiracusa) sembra in realtà una “mensola del primo ‘900 “ (così Flavia Zisa che aggiunge, avendone visto la foto:” non può essere greco”).
Si conviene che il manufatto oggetto di contestazione, pur se inequivocabilmente dotato di due volute, non interpreta forse con rigore vitruviano lo stile ionico (mancandone elementi egualmente caratterizzanti come il kymation ad ovoli e le palmette laterali) ma dovendo fare fede al suo contesto di ritrovamento riteniamo di poter affermare che esso è con certezza un manufatto antico e non certamente la bufala che, con poco fair play, qualche commentatore improvvisato e lo stesso titolo di Repubblica sembrerebbero accreditare.
L’oggetto in questione è stato infatti rinvenuto all’interno di un profondo pozzo cilindrico, come molti se ne intercettano nel sottosuolo delle colonie greche di Sicilia e dei quali la stessa Gela ha già offerto numerosi esempi. Al loro interno si vanno nel tempo accumulando utensili, tegole, vasellame in frammenti ed elementi vari temporaneamente in disuso, in un ordine di deposizione comprensibilmente inverso che l’attenta indagine stratigrafica consente di ricostruire a partire dalle quote più superficiali in cui si incontrano i manufatti più recenti, per intercettare via via i più antichi man mano che si procede in profondità.
All’interno del pozzo, il capitello si attestava alla quota non trascurabile di -2,70 metri a partire dal piano di campagna, ma soprattutto giaceva al di sotto di ben sette pesanti lastre in arenaria, di difficilissima movimentazione, spesse circa cm.25 , lunghe fino ad un massimo di un metro, dotate sul fronte anteriore di una modanatura a rilievo, probabilmente facenti parte di una antica trabeazione. Esse tuttavia non hanno certo l’apparenza di conci squadrati da costruzione destinati a edifici novecenteschi, come saremmo costretti a supporre, accettando la datazione proposta al ‘900 per il capitello sottostante.
Al di sopra delle lastre ed inframezzati alle stesse, a mo’ di zeppe, erano poi presenti più tratti di antiche tegole piane in terracotta in qualche caso dotate anche del breve listello aggettante tipico dell’età ellenistica.
Nel modesto interro frapposto fra le lastre poste più in profondità ed il capitello, si è recuperata una porzione di statuetta votiva femminile in terracotta, riconducibile al culto di Demetra e Kore tradizionalmente praticato a Gela a partire dal VI sec. a.C. Diffusa all’interno del pozzo, a partire dalla sommità e negli interstizi lasciati liberi dagli elementi architettonici, si è poi rilevata la presenza di frammenti vari di vasellame, quali anse, pareti, bordi di ceramica sia a vernice nera che a decorazione geometrica, facilmente assegnabili ad un arco cronologico compreso fra il VI ed il IV sec. a.C.
È altrettanto importante infine sottolineare come, una volta ultimata l’asportazione di quelle fin qui descritte, ulteriori componenti architettoniche siano già affiorate alla quota sottostante, senza la completa messa in luce delle quali converrà sospendere ogni giudizio, in attesa di acquisire tutti i dati indispensabili ad una interpretazione completa ed attendibile dello scavo.
In ultimo, riassumendo quanto sopra esposto e con il supporto anche delle relazioni di scavo redatte dalla dott.ssa Marina Congiu, archeologa di lunga esperienza incaricata da Enel-distribuzione per la direzione dei lavori dello stesso, prodotte durante e dopo lo scavo, si può concludere che a giudizio di questa Soprintendenza il capitello di che trattasi non appare ascrivibile ai secoli XIX o XX ma è riferibile ad un arco di tempo compreso tra il VI e il IV a.C.
Il Soprintendente
(arch. Daniela Vullo)