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“La conciliazione tempi lavoro-famiglia ancora la principale causa delle dimissioni delle lavoratrici anche soprattutto in emergenza Covid 19”

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<>, così si legge nella nota della consigliera di parità Alessandra Cascio.
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Il tema dei servizi per l’infanzia è un tema affrontato da anni ma con scarso successo, soprattutto in Sicilia dove l’ultimo dato aggiornato dall’Istat risale al 2017 e su 390 comini siciliani solo 155 hanno attivato asili nido o micronidi o altri servizi integrativi e/o innovativi, di cui la Provincia di Caltanissetta che conta 22 Comuni solo il 18,2%, praticamente 4 comuni. Considerato che non sono dati aggiornati al 2019 e che l’emergenza Covid 19 con la chiusura di tutte le strutture scolastiche e servizi all’infanzia ha fatto riemergere il problema, oggi è necessario verificare con i comuni quanti e quali servizi sono esistenti nel territorio nisseno per poter programmare una politica di sostegno al lavoro delle donne sia per quanto riguarda l’accesso al lavoro che il mantenimento dello stesso senza dover scegliere tra lavoro e famiglia. Inoltre se guardiamo i dati Istat relativi all’occupazione per l’anno 2019 riscontriamo che per un’età lavorativa individuata tra 15 e i 64 anni nella provincia di Caltanissetta il tasso di occupazione è del 38,1% di cui il solo il 23,6% donne, ciò ci deve fare riflettere. Rispetto alla media europea di circa il 66,5%, l’Italia, secondo una ricerca della Fondazione Openpolis, ha i livelli più bassi di occupazione femminile e si trova al penultimo posto con il 52,5%, appena sopra la Grecia (48%). “Il gap occupazionale aumenta se si confrontano i soli uomini e donne con figli. Rispetto a una media europea di 18,8 punti percentuali di distanza tra padri e madri occupate, l’Italia si trova al di sopra di quasi 10 punti (28,1). Su questo punto, diverse ricerche concordano nel mettere in relazione la disponibilità di asili nido e scuole materne con l’occupazione femminile: più posti ci sono e più le mamme possono essere nella condizione di lavorare. Perché un tema fondamentale è la conciliazione tra genitorialità e professione. Ma, c’è un ma. Nel nostro Paese anche le donne senza figli, di età compresa tra 20 e 49 anni, lavorano nel 62,4% dei casi, contro una media europea del 77,2%. “La cosa interessante da notare – scrivono i ricercatori di Openpolis – è che nei maggiori paesi Ue le donne con due figli partecipano al mercato del lavoro in misura maggiore delle italiane senza figli. Una distanza che è nell’ordine di 12 punti se confrontata con Regno Unito e Germania, e di quasi 16 rispetto alla Francia (…)”(cit. Sole 24 ore – Elena Delfino il 19 Settembre 2019) Anche l’utilizzo del “Lavoro agile” deve essere rivisto in chiave di volontarietà della donna lavoratrice e non come opzione per poter meglio sobbarcarsi contemporaneamente il lavoro di cura della famiglia non contrattualizzato e lo svolgimento del suo lavoro contrattualizzato. Bisogna dare un valore economico positivo al lavoro di cura nel bilancio familiare e non solo in negativo cioè il costo della babysitter o assistente familiare. Ciò può avvenire solo con il rafforzamento dei servizi pubblici e la valutazione degli eventuali costi nel bilancio familiare. Inoltre attivare i suindicati servizi potrebbe rappresentare anche creare una maggiore occupazione e il miglioramento della vita lavorativa non solo delle lavoratrici e lavoratori dipendenti, ma anche di coloro che svolgono lavori a partita iva e gli stessi imprenditori/trici che, anche se datori di lavoro, spesso anche loro non riescono a conciliare i tempi lavoro/famiglia per i quali lo Stato aveva investito risorse con l’Art. 9 della L 53/2000 e che oggi si ritrovano senza nemmeno quello>>, conclude la nota di Cascio. 

 

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