Come far ripartire i negozi nel dopo coronavirus: consegne a casa e marketing digitale
Con il coronavirus c’è stata un’ascesa dei negozi di vicinato, mentre quelli costretti a chiudere si stanno organizzando per le consegne a casa e scoprono e commerce e marketplace online.
C’è già chi ha lanciato piattaforme per riunire le realtà che offrono questi servizi nei vari quartieri. Potrebbe essere la rinascita dei “piccoli” negozi che non possono permettersi di lanciarsi nel mondo digitale in solitaria.
Da anni i negozi lottano contro la crisi cercando di adeguarsi ai livelli di servizio e alle modalità di comunicazione proposte con successo dai giganti dell’ecommerce e dalla grande distribuzione, finora senza troppa fortuna. Ma proprio un evento così catastrofico come la pandemia di coronavirus potrebbe paradossalmente portare nuova linfa ai piccoli esercizi e alle micro-imprese commerciali facendo leva su uno strumento innovativo eppure antico, l’home delivery, e utilizzando lo strumento dei marketplace, luoghi digitali aggregati per mettere a valore la relazione con il cliente.
Coronavirus: i grandi reggono a fatica
Il canale ecommerce, in questo momento subissato di richieste, è sotto pressione. Secondo un’analisi di eMarketer pubblicata a marzo negli Stati Uniti (a quella data non era in vigore un blocco totale delle attività non essenziali come in Italia), l’e-commerce è destinato a crescere “man mano che i consumatori eviteranno i negozi fisici”. Già i tre quarti (74,6%) degli utenti di Internet hanno dichiarato che probabilmente non si recheranno nei centri commerciali e “oltre la metà eviterebbe i negozi in generale” se la situazione dovesse peggiorare. La conseguenza immediata: un ecommerce messo a dura prova dall’ondata di richieste. Il 18 marzo Amazon ha annunciato: lasceremo i nostri magazzini soltanto ai fornitori di generi di prima necessità. Il gigante fondato da Jeff Bezos sta incontrando criticità negli Stati Uniti ma anche in Europa. Alcuni ordini subiscono forti ritardi a seconda del luogo e della merce. Inoltre negli Usa Amazon ha annunciato centinaia di nuove assunzioni per riuscire a fronteggiare l’ondata di nuove richieste.
Cosa accade in Italia?
L’iniziale boom della GDO, la corsa al galoppo dell’ecommerce
All’inizio della quarantena da coronavirus, nel mondo della grande distribuzione organizzata in Italia, si è registrata una prevedibile impennata di vendite. Come rileva Nielsen, per tre settimane di fila dall’inizio dell’emergenza c’è stato trend positivo a doppia cifra. In particolare, nella settimana dal 9 al 15 marzo, le vendite nei negozi della GDO sono aumentate del 16,4% rispetto allo stresso periodo del 2019. Successivamente il trend di crescita è rallentato.
Non si è invece arrestata la corsa dell’ecommerce. Se nel primo caso (Gdo) la crescita nella settimana dal 16 al 22 marzo è stata del +5,4% rispetto ai dodici mesi precedenti, nel secondo caso (spesa online) l’incremento è stato addirittura del 142,3%, in rialzo di 45 punti percentuali rispetto al trend della settimana precedente. Tra 30 marzo e il 5 aprile i dati sono risultati in crescita rispetto allo stesso periodo del 2019, e con un trend in linea con la settimana precedente: +2,2%. I dati sono sempre di Nielsen Connect Italia, che evidenzia come, per la terza settimana, sia il Nordest a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale: +5,9%, seguito subito dal Sud (+5,8%). Rimangono stabili il Nordovest (+0,3%) e il Centro (-0,5%).
Per evitare le lunghe code davanti ai supermercati, e una (sia pur remota) possibilità di contagio, in molti hanno provato con le ordinazioni online. E qui l’home delivery dei supermercati ha mostrato il fianco: disponibilità terminate quasi ovunque, slot liberi a distanza di alcune settimane dall’ordinazione, scarsa chiarezza nelle informazioni online (in alcuni siti gli utenti scoprono che la consegna è ritardata di decine di giorni solo dopo aver riempito il carrello virtuale). Il fatto è che, negli ultimi anni, la GDO italiana ha scommesso poco sull’home delivery. Finora il tasso di penetrazione degli acquisti online food and grocery sul totale del settore era intorno all’1%: lo segnala un report del Centro Studi R&S di Mediobanca, che prende a campione i 10 maggiori gruppi italiani e stranieri della grande distribuzione (con dati, però, relativi al 2018). “Esselunga – si legge nella ricerca – dichiara vendite online per il 2,1% del fatturato, mentre Coop Alleanza 3.0 tocca appena lo 0,03% delle vendite. Ma i dati che arrivano dagli operatori sono ancora pochi e insufficienti”.
Con la pandemia la percentuale di persone che ordinano online è evidentemente schizzata in alto (aspetteremo i dati ufficiali, ma il trend è sotto gli occhi di tutti). E la GDO è stata colta impreparata. Stanno sopperendo, in parte, le startup dell’home delivery e del food delivery. Supermercato24, per esempio, nata qualche anno fa per consegnare a casa la spesa ordinata online presso le gradi catene della Gdo, in queste settimane ha triplicato il numero dei nuovi iscritti al servizio. Ma stanno ricavando benefici anche realtà più recenti e l’home delivery comincia ad attecchire in zone dove prima non esisteva, come dimostra l’esempio della startup aretina Primitia.
La crisi dei negozi e le opportunità dell’home delivery
D’altra parte numerosi esercizi commerciali sono stati costretti a chiudere. Il DPCM dell’11 marzo 2020 stabilisce la sospensione delle attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e “di prima necessità” individuate in un allegato a parte, siano esse esercitate nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato, nell’ambito della media e grande distribuzione o ricompresi nei centri commerciali. Paradossalmente (o no?) le botteghe di quartiere rimaste aperte stanno incrementando le attività.
“Continua l’ascesa dei negozi di vicinato, che si trovano nei pressi delle abitazioni e permettono quindi di limitare il tragitto per la spesa” dice Romolo De Camillis, Retailer Service Director di Nielsen Connect In Italia.
Il trend, come detto, favorisce naturalmente i punti vendita di generi alimentari. E gli altri? In ballo ci sono attività di vario tipo: prodotti per animali, ristoranti, panifici, fruttivendoli, salumerie, pescherie, gelaterie, erboristerie, edicole, pasticcerie, casalinghi, librerie, negozi di elettronica, enoteche, bar, negozi di accessori, cura della persona, prodotti per bambini ecc. ecc.
È oggettivamente possibile che, all’indomani della fine dell’epidemia di coronavirus, alcuni di questi negozi, purtroppo, non riescano a riaprire. Ma l’ingegno e la disperata volontà di sopravvivere dei micro-imprenditori stanno contribuendo a disegnare alcune possibili strade per il futuro. In particolare alcuni esercizi stanno tentando la strada dell’home delivery: con le serrande abbassate per decreto ministeriale, hanno deciso di provare a consegnare a casa la propria merce. Prima però hanno bisogno di far sapere ai clienti che ci sono e sono disponibili a recarsi al loro domicilio. Hanno perciò necessità di pubblicizzare questa nuova attività e lo stanno facendo attraverso i mezzi che hanno a disposizione: innanzitutto i social network e le piattaforme di messaggistica. Sono stati attivati gruppi Facebook per la segnalazione degli esercenti che fanno consegne a domicilio, sono stati creati gruppi WhatsApp per lo scambio di informazioni e contatti. In modo sostanzialmente improvvisato i negozi di vicinato stanno imboccando una nuova strada, quella del marketplace. In maniera probabilmente inconsapevole stanno attivando un’operazione di digital marketing. Qualcuno, a monte, l’ha già intuito e ha cominciato ad attrezzarsi.
Io resto a casa delivery
Lo spunto è stato colto, per esempio, da Ennevolte, realtà milanese impegnata nel settore delle convenzioni aziendali, e da Loud, agenzia specializzata in comunicazione digital, che hanno creato, ad esempio, un sito, al momento attivato gratuitamente, con lo scopo di riunire in una sola piattaforma le botteghe di quartiere, i negozi non attivi nell’ecommerce o poco forti in questo ambito.
Perlomeno allo stato attuale, chi ha bisogno di qualcosa può effettuare una ricerca per CAP e/o per categoria merceologica. A loro volta le realtà commerciali che offrono servizi di consegna a domicilio possono iscriversi senza alcun costo e senza dover versare percentuali sulle vendite.
Post coronavirus: come far ripartire i negozi
Laddove la concorrenza dell’ecommerce ha distrutto, il coronavirus potrebbe paradossalmente ricostruire. Finora piccoli e piccolissimi negozi sfiancati dalla concorrenza della grande distribuzione e dei centri commerciali, senza alcuna presenza su Internet o poco abituati al commercio elettronico, rischiavano di scomparire uno dopo l’altro. Da domani in Italia qualcosa potrebbe cambiare.
Le leve si chiamano consegna a domicilio (home delivery), ecommerce e marketplace economy.
La consegna a domicilio (home delivery) è il passaggio, prima di tutto culturale, dal negozio fisico statico a un negozio, diremo, dinamico. L’esercente, che venda salumi, occhiali o abiti da sera, sarà portato, all’indomani della fine della pandemia, a ripensare il proprio business. Non sarà più il cliente a dover entrare in negozio (o perlomeno non farà più sempre e solo quello), ma sarà l’esercente a dover andare con maggiore frequenza dal cliente. Una parte delle risorse umane impiegate per stare dietro il bancone potrebbe essere riconvertita per utilizzare l’ecommerce e le consegne a casa. L’esercente ha un vantaggio rispetto all’ecommerce tradizionale: è radicato nel territorio, conosce personalmente il cliente, è in grado di instaurare con lui una relazione diretta e fisica. Il delivery è l’ultimo passo necessario di questo rapporto di costruzione della fiducia.
La tecnologia, volenti o nolenti, oggi è la chiave. Consente agli imprenditori di usare piattaforme cloud-based, app per smartphone e social network per svolgere la loro attività.
Da tempo, in parte, lo è già, in varie forme e con vari contenuti. Con la disruption portata nel settore dal coronavirus, eventuali diffidenze (da parte dei consumatori, ma anche degli stessi commercianti) dovrebbero calare.
Ora è il momento: chi lo ha capito e ha gli strumenti per sviluppare il proprio progetto avrà certamente un vantaggio competitivo.
[Fonte: https://www.economyup.it/]