Vendemmia nel terreno confiscato alla famiglia mafiosa di Montedoro
Questa mattina, alla presenza di S.E. il Prefetto di Caltanissetta Cosima Di Stani, del Comandante Provinciale CC Col. Baldassare DAIDONE, del Capo Centro DIA Col. GdF Emanuele LICARI, del Comandante Nucleo P.E.F. Ten.Col. GdF Giuseppe IALACQUA, del Sindaco di Montedoro Renzo BUFALINO e dei Sindaci dei comuni limitrofi, è cominciata la raccolta dell’uva coltivata nei terreni confiscati alla mafia siti in Contrada Mulinello, agro del comune di Montedoro (CL).
I terreni facevano parte del patrimonio dei fratelli della “famiglia” mafiosa di Montedoro (CL), Gaetano Falcone, di 75 anni, e Nicolò, deceduto il 15 giugno 2019. Beni per complessivi 2,5 milioni di euro confiscati in seguito alla Sentenza della Cassazione del 09.05.2019, dopo i sequestri disposti nel 2015 dal Tribunale di Caltanissetta, su proposta del Direttore della DIA.
Complessivamente il patrimonio confiscato è costituito da 5 aziende agricole e 87 immobili (tra fabbricati e terreni), nonché da numerosi rapporti bancari, per un valore complessivo di oltre 2 milioni e mezzo di euro.
Nel corso di questi anni è stata costante l’azione di vigilanza della locale Stazione CC, in supporto all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, finalizzata ad evitare furti e danneggiamenti ai terreni in questione.
I Falcone, ritenuti «uomini d’onore» di Montedoro (Nicolò ha rivestito il ruolo di «rappresentante», anche con funzioni apicali, di Cosa nostra del Nisseno), avrebbero investito nel settore agricolo i guadagni delle attività illecite mafiose. I giudici avevano già disposto il sequestro preventivo dei beni subito dopo l’operazione antimafia “Grande Vallone” dei Carabinieri, che fece luce sulle attività mafiose nella zona nord della provincia, per cui lo stesso Nicolò Falcone venne condannato a 4 anni e 6 mesi dal processo che ne scaturì.
Per investigatori e inquirenti non ci sarebbero dubbi sul fatto che i Falcone avessero messo insieme la loro fortuna investendo i guadagni ottenuti grazie alle attività illecite di Cosa Nostra e la Procura generale della Cassazione aveva quindi chiesto la conferma definitiva della confisca di tutto quanto e cioè la ditta individuale “Falcone Nicolò” per la coltivazione di cereali e riso di via Cardinale Guarino; le aziende “Di Raimondo Anna” – appartenenti alla moglie, con frutteto, vigneto e oliveto e un’altra zootecnica per l’allevamento di ovini, di cui la prima, situate una in via Guarino e l’altra in contrada Marcato. A queste si aggiungono alcuni terreni, fabbricati e abitazioni nelle contrade Marcato e Saie di Montedoro e in contrada Sabugia a Serradifalco: nel dettaglio si tratta di 54 terreni a Montedoro, 33 a Serradifalco, e tre costruzioni.
La sussistenza di significativi indizi dell’ appartenenza di Gaetano FALCONE all’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra” deriva dagli esiti di diversi processi che hanno riguardato le famiglie mafiose operanti nella provincia di Caltanissetta, tra cui vi è la famiglia di Montedoro di cui il FALCONE Gaetano è stato rappresentante, con ruolo di vertice dell’associazione mafiosa “cosa nostra” operante nel territorio nisseno. Diverse sono state le operazioni sfociate in processi penali riguardanti la criminalità organizzata nella provincia di Caltanissetta, alcune delle quali sfociate in sentenze irrevocabili di condanna, che hanno acclarato l‘esistenza in questo territorio di un’articolazione di Cosa Nostra, divisa in mandamenti e famiglie (tra cui quella di Montedoro). Nell’ambito dell’attività investigativa “Leopardo “, il 12/11/1992, il FALCONE era destinatario di un OCC in Carcere emessa dall’Ufficio del G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta per associazione mafiosa, rispetto alla quale si rese latitante fino al 06/02/1994. Successivamente, in data 24.7.2003, FALCONE Gaetano subiva condanna alla pena di anni otto di reclusione emessa dalla Corte di Appello di Caltanissetta per associazione mafiosa ed estorsione, in particolare per aver fatto parte di associazione di tipo mafioso nelle province di Caltanissetta e di Enna, dedita alla commissione di estorsioni, turbative d’asta, traffico nazionale e internazionale di stupefacenti, detenzione e porto d’ami e volta ad ottenere il controllo diretto o indiretto delle attività economiche nell’ambito della realizzazione di opere pubbliche e private e per aver commesso un’estorsione a danno di una ditta, avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis cp..
Il FALCONE è stato inoltre sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per 3 anni, venendo condannato nel 2002 per violazione delle prescrizioni imposte dalla predetta misura. Diversi collaboratori giustizia lo individuano quale ‘uomo d’onore’ di Cosa Nostra appartenente alla famiglia di Montedoro (operante all’interno del mandamento mafioso di Mussomeli) insieme al fratello Falcone Nicolò, ‘sottocapo’ del gruppo mafioso.
La raccolta dell’uva per finalità sociali è stata affidata alla Cooperativa Sociale “Verbumcaudo”, formata da giovani del territorio, che sta valorizzando l’omonimo feudo confiscato alla mafia, attraverso la messa in produzione di 151 ettari di terreni che vengono coltivati ad origano, pomodori e cereali. Sino al 1983 Verbumcaudo apparteneva ai fratelli Greco, boss reggenti della famiglia di Ciaculli, ma nel 2011, una volta acquisito dall’assessorato all’Economia della Regione Siciliana, il feudo è rinato grazie alla determinazione del Consorzio Madonita per la Legalità e lo Sviluppo, espressione di 19 comuni delle alte e basse Madonie, che attraverso un bando pubblico ha selezionato giovani del territorio interessati alla formazione professionale in ambito cooperativo. Dopo un periodo di formazione un gruppo di ragazzi e ragazze, guidati dal CRESM – Centro di ricerche economiche e sociali per il Meridione e da Confcooperative, ha costituito la nuova Cooperativa Sociale Verbumcaudo, una cooperativa produttiva che si è assunta la responsabilità di gestire il fondo per il suo ritorno alla legalità e all’attività economica trasparente e per dare vita a una filiera umana, sociale e produttiva che coinvolga direttamente gli abitanti e i giovani del territorio. Le storie delle ragazze e dei ragazzi della cooperativa sono storie di “restanza”, tutti giovani che stanno scegliendo di investire nell’entroterra siciliano: ci sono ingegneri, geologi, guide naturalistiche, agronomi, commercialisti e addetti alle lavorazioni agricole qualificati.