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Riesi. L’omicidio di Piero Di Francesco. Il padre della vittima chiede l’annullamento dell’ergastolo

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A dicembre la Corte di cassazione dovrà dare l’ultima parola sull’omicidio dell’imprenditore di Riesi Piero Di Francesco e sulla presunta colpevolezza del padre di questi, l’imprenditore Stefano Di Francesco, 68 anni, condannato in primo grado e in appello all’ergastolo con l’accusa di avere causato la morte del figlio.

A presentare ricorso contro la sentenza d’appello emessa nell’ottobre di un anno fa sono stati i legali dell’imprenditore, gli avvocati Michele Micalizzi e Giampiero Russo. I difensori, nel chiedere l’assoluzione dell’imputato, avevano sostenuto che l’aggressione della quale rimase vittima Piero Di Francesco e tutto ciò che ne seguì, cioè il fatto che il padre caricò il corpo del figlio su una vecchia auto aziendale a cui diede fuoco per poi gettarvi sopra del terreno tramite un escavatore, sarebbe avvenuto in tempi troppo risicati. Per la difesa, infatti, tutto si sarebbe svolto in appena 3 minuti, stando anche alle perizie informatiche redatte sulla base dei segnali dei cellulari, in particolare tra le 11.21 e le 11.24 di quel maledetto 9 gennaio 2012. E la difesa aveva insistito parecchio pure sull’assenza di una frattura cranica o una contusione talmente forte da provocare la perdita di sensi.

L’aggressione avvenne, secondo la ricostruzione investigativa, nei pressi della ditta di famiglia, la “Tecnoambiente”, impegnata nelle bonifiche ambientali. La vittima, secondo l’accusa, fu colpita alla testa con un oggetto contundente, mai ritrovato, e perse i sensi. E poi il padre, sempre secondo l’accusa, caricò il corpo su una vecchia auto dell’azienda, la diede alle fiamme e poi gettò del terreno sull’auto per simulare un tentativo di soccorso. Il movente era invece da inquadrare in contrasti per la gestione dell’impresa di famiglia. Inoltre l’imprenditore avrebbe anche confessato le sue responsabilità in uno sfogo sulla tomba del figlio, ignorando che sulla lapide era stata posizionata una microspia che captò lo sfogo. Ma sull’interpretazione di alcune frasi la difesa ha sollevato dei dubbi.

Per gli inquirenti e i legali di parte civile, gli avvocati Margherita Genco e Walter Tesauro, l’impianto accusatorio era granitico e la colpevolezza dell’imputato era stata provata. Anche la Corte d’assise d’appello aveva confermato provvisionali e risarcimenti fissati dalla Corte d’assise di primo grado e cioè 300 mila euro alla vedova Giusy Marotta e ai figli, 50 mila euro è la provvisionale per Calogera Di Patti (madre della vittima) e 20 mila euro per Eugenio Di Francesco.

Ora l’ultima parola spetta alla suprema Corte.

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