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Riesi. Lo spaccio di stupefacenti movente dell’omicidio Fiandaca

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I contrasti sulla gestione dello spaccio di marijuana e cocaina a Riesi sarebbero alla base dell’omicidio dell’operaio di Riesi Salvatore Fiandaca, ucciso con tre colpi di fucile lo scorso 13 febbraio nelle campagne del piccolo centro del nisseno.
A spiegarlo, nel corso della conferenza stampa in cui sono stati resi nostri alcuni particolari sul blitz che ha condotto all’arresto di cinque persone, sono stati gli inquirenti e i carabinieri che si sono occupati dell’inchiesta e che avevano puntato il dito su quanto accadeva all’interno di due locali di Riesi: lo Zelig e il Cantalanotte, frequentati da vittima e indagati.
Ed erano state le dichiarazioni poco credibili di uno degli arrestati, Pino Bartoli, 31 anni, proprietario del terreno dove è avvenuto l’omicidio, nonché cognato del fratello della vittima, a mettere sulla pista giusta gli investigatori. Bartoli si era contraddetto più volte quando è stato ascoltato nella prima fase delle indagini e la mattina dell’omicidio era stato ripreso da alcune telecamere del paese mentre usciva di casa. Gli investigatori si erano poi accorti che, dopo l’omicidio, indossava scarpe e un giubbotto diversi da quelli che aveva addosso in mattinata e Bartoli non era riuscito a dare una spiegazione convincente del perché non li avesse più con sé.
Altri elementi emergono dalle intercettazioni ambientali: in particolare Loris Cristian Leonardi, 27 anni, durante un colloquio in carcere con la compagna, le avrebbe confidato di essere stato lui a fornire il fucile calibro usato per uccidere Fiandaca. L’arma non è stata ritrovata in quanto, subito dopo l’omicidio, venne ridotta in pezzi e le varie componenti sepolte in campagna. A premere il grilletto sarebbe stato Michael Castorina, 29 anni, mentre sarebbe stato proprio Pino Bartoli ad accompagnare la vittima sul luogo del delitto.
Gaetano Di Martino, 35 anni, e Giuseppe Santino, 20 anni, avrebbero accompagnato e fornito supporto logistico ai componenti del commando; la presenza di Santino è stata invece accertata dall’analisi del Dna eseguita dai carabinieri del Ris di Messina su un cicca di sigaretta trovata nei pressi del luogo del delitto.
Secondo i magistrati della Procura nissena e i carabinieri i componenti del gruppo avevano approfittato del vuoto criminale creatosi a Riesi dopo i numerosi arresti che hanno decapitato il clan mafioso dei Cammarata, storicamente contrario, invece, alle attività di spaccio.

 

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