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Perfect Sensuality. Capitolo secondo

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Brasile – Belo Horizonte

Il venticinque di giugno per Miguel era sempre un momento particolare.
Ma quell’anno non solo era il suo compleanno, il diciottesimo, ma era anche la data del suo esame
orale per il conseguimento del diploma di scuola superiore.
Era stato fra i pochi all’istituto per orfani Hulas a diplomarsi, e l’unico ad avere preso il massimo
dei voti e a ottenere così una borsa di studio che l’avrebbe portato via da lì.
Miguel Martinez, da tutti chiamato Miguelito, era un ragazzo eccezionale e colpiva come una
bomba atomica ogni persona che riusciva ad entrare in contatto con lui.
Il direttore dell’orfanotrofio che lo aveva visto crescere aveva ricevuto per lui una marea di
richieste di adozione. Ma nessuno lo aveva mai saputo, tranne lui.
Non poteva farlo uscire da lì, ma nel frattempo se lo coltivava con gli occhi da un po’.
L’aveva visto diventare il bellissimo ragazzo che adesso faceva perdere la testa a tutti, alle donne
soprattutto, ma risultava molto simpatico anche ai suoi compagni. Miguel era un ragazzo tranquillo
e molto riflessivo, molto sensibile. Era di animo delicato e all’apparenza remissivo. Anche se,
nelle rare volte in cui lo avevano visto arrabbiarsi, ne era uscita fuori una forza e una grinta
inaspettata. Rispetto ai suoi amici e compagni, non aveva mai fatto a botte con nessuno, cercando
sempre la via diplomatica per risolvere ogni situazione.
Miguel era alto un metro e ottantacinque, con un fisico asciutto, aveva una naturale e armonica
muscolatura che sembrava definita in palestra. Ma lui, Miguelito come lo chiamavano in molti, una
palestra non l’aveva mai frequentata. Era naturalmente tonico, con la pelle sempre ambrata i
capelli lisci, folti e del colore dell’oro con piccole striature naturali, platino.
Ma quello che veramente inceneriva, chiunque lo guardasse, erano gli occhi enormi e color acqua
marina.
Il suo era un iride limpido, senza la minima pagliuzza. Il sorriso era perfetto, qualsiasi dentista lo
avrebbe preso come esempio da mostrare ai propri pazienti. I suoi denti bianchi, sani e regolari,
regalavano un sorriso che conquistava qualsiasi cuore. Dall’anziano al bambino, a tutti piaceva
stare con lui. Era dolce e solare. Era accogliente, emanava un carisma irresistibile.
Ma quello che più attirava, era la sua calma interiore naturale. Era saggio e riflessivo.
Era difficile farlo arrabbiare, tutti i suoi compagni di sventura ricorrevano sempre a lui per qualche
consiglio o per essere consolati, guidati e confortati. Ma anche per essere curati.
Il direttore si arrabbiava da morire se era costretto a portare qualcuno al pronto soccorso. E per
evitare guai e punizioni, Miguel si era documentato come meglio poteva. Aveva imparato a curare
le piccole ferite e le contusioni per conto suo. Ma questo aveva fatto nascere in lui la voglia di fare
il medico. Anche se, ferite a parte, a lui era sempre piaciuto un organo umano su tutti. Il cuore.
E sarebbe diventato un cardiologo un giorno, se l’era giurato.
Miguel adorava sentire battere il cuore, era il suo suono preferito. Quello, per lui, era il suono più
bello della vita, la colonna sonora della forza e della vitalità.
Miguel era considerato anche una specie di confessionale umano dai suoi compagni e amici, perché
non aveva l’abitudine di giudicare. Lui si limitava a vedere dall’esterno la situazione e a dare un
consiglio neutrale, che salvasse più cose possibili. Era un leader naturale, tutti istintivamente si
rivolgevano a lui per un parere o un consiglio.
Miguel temeva solo lo sguardo strano e cattivo di una persona. Gomes Peralio, il direttore, che a
sua insaputa invece avrebbe voluto mettergli le mani addosso, non per picchiarlo, ma per
goderselo. Per fortuna, l’uomo, non aveva mai potuto farlo.
E c’era un motivo. Un motivo che aveva salvato il ragazzo dalle sue grinfie. Ma era il male che
senza saperlo aveva impedito ad un altro male di rovinare quella meraviglia bionda e sorridente,
che tutti adoravano.
Peralio, che per un patto con i ricchi demoni, rendeva inaffidabili, non adottabili, tutti i bambini
biondi con gli occhi chiari, aveva ricevuto, a un certo punto della crescita di Miguelito, del
denaro da un personaggio ricco e facoltoso. Da lui riceveva una somma tutti i mesi per tenerlo lì
nell’istituto e non farlo adottare da nessuno. Il direttore Peralio dunque intascava i soldi, mentre
lo ammirava da lontano. E si concedeva solo qualche fantasia su cosa gli avrebbe fatto, potendolo
avere dentro al suo letto.
Non era mai successo che, per tenere dentro l’istituto un ragazzo, venissero versati tutti quei soldi.
Ma Miguel era speciale, purtroppo, anche per gli scopi di qualcuno senza scrupoli.
Gomes ne aveva abusati di ragazzi dentro l’istituto, tutti giovani senza granché di attrattiva,
approfittando che fossero giovani, soli e indifesi. E a Miguel, che era davvero la fine del mondo,
non poteva toccarlo. Gomes sospirò rassegnato. In un certo senso, all’insaputa della stessa vittima,
la richiesta di Nino, l’aveva salvato da altri traumi e pericoli.
Il direttore se lo sarebbe rigirato come un giocattolo per una settimana di fila, tanto lo desiderava.
Ma non poteva toccarlo. Chissà chi si sarebbe gustato quella meraviglia. Ogni giorno sperava che
la commissione sul bel Miguelito venisse ritirata, e che lui potesse finalmente prenderselo. Forse
avrebbe dovuto usare le maniere forti all’inizio, sentiva che era forte e tosto, ma lo avrebbe piegato
al suo piacere perverso.

 

Gomes si destò da quelle fantasie che ogni volta lo inducevano a toccarsi fino a raggiungere un
orgasmo quasi doloroso, mentre lo immaginava sotto di sé scosso dalle spinte violente che gli
avrebbe dato.
L’uomo scosse la testa. Aveva dovuto concedere ai suoi amici e compagni di fargli una festa a
sorpresa per il compleanno e il conseguimento del diploma, lo osservò voglioso.
I ragazzi, avevano avuto il permesso di mettere della musica da discoteca.
Una cosa che succedeva raramente.
Miguel si muoveva divinamente. Quel ragazzo aveva la musica e il movimento nel sangue. E
Peralio sentiva il suo di sangue, ribollire, mentre Miguel sorridente muoveva i fianchi, al ritmo
della musica. Per lui avrebbe fatto follie, ma non poteva toccarlo, doveva restare puro e innocente
come era stato richiesto. Gomes sospirò e cercò di tenere buono l’arnese infernale che si agitava
dentro i pantaloni. Il direttore, sentì che per il giovane e avvenente Miguelito, forse la vita stava
per cambiare.
Nino stava arrivando per lui, per il bell’atipico brasiliano.
Forse avrebbe scoperto le intenzioni del misterioso personaggio che per quel bellissimo ragazzo
stava spendendo una fortuna.
Di ragazzi ne aveva consegnati a Nino, ma per Miguel che nel tempo aveva attirato centinaia di
potenziali genitori, l’accanimento era stato massimo. A Gomes non era dispiaciuto avere tutti i
mesi quella somma per tenere il bel Martinez li nell’istituto, ma la curiosità a questo punto era
arrivata ai massimi livelli.
Gomes ricevette Nino il giorno successivo al compleanno del ragazzo. Quel viscido faceva da
tramite diretto al misterioso committente. Gomes bramava di sapere chi fosse quel tizio, che gli
aveva impedito di godersi quella meraviglia, ma che aveva riempito le sue tasche di soldi.
Peralio fu avvertito, dal suo segretario del suo arrivo.
Entrò nella suo studio privato un uomo sulla sessantina, corpulento e dallo sguardo torvo.
I due si strinsero la mano. Si accomodarono in due poltrone di canapa. Il direttore offrì un the
freddo al suo ospite.
-Finalmente saprò il perché di tante cose? Perché tanti soldi per Martinez?- Fece Gomes, non
potendosi trattenere.
L’uomo sudato e dall’aspetto cattivo, si passò un fazzoletto sulla fronte. Posò infastidito il
bicchiere ormai vuoto e lo guardò schifato.
Nino era tutto, corrotto e colluso, ma era etero su quel versante. Era solo lavoro fornire carne
fresca di giovani orfani ai bordelli dell’intero Brasile. Lo faceva solo perché era costretto. Odiava
Peralio e il mostro a cui doveva fare la speciale commissione. Ma doveva eseguire, non c’era via
di scampo. Lo guardò serio.
-Non credo che le interesserà ancora questa storia. Ecco questi sono suoi. Ha solo un’altra cosa da
fare. L’ultima, poi si passerà all’ordinaria amministrazione. E voglio subito la lista dei maggiorenni
e le foto, per favore.- Tagliò corto l’uomo.
-Certo, domani la preparo e la spedisco, al solito modo.-
Gomes lo osservò avido mentre gli mostrava una piccola valigia nera piena di soldi.
Chi si fosse goduto Miguel era veramente straricco, pensò.
-Questa cifra, lui gliela offre come ricompensa aggiuntiva, per tutto quello che lei in questi anni ha
fatto per tenere a bada la situazione. Al fatto che ha tenuto il ragazzo qui dentro, impedendo che
venisse adottato. Ora ha diciotto anni e quel pericolo è passato. E anche la mia attesa è finita,
finalmente. Tutti ci guadagneremo molto. Lui sarà felice e starà buono per un bel po’.-
L’uomo parlava come se avesse appena concluso l’affare più importante della sua vita.
-Non mi dirà chi c’è dietro?-
-Cosa cambierebbe per lei?-
-Niente, solo curiosità.-
-Se la tenga per sé. Incassi il denaro e si faccia i fatti suoi.-
-Certo, mi dica cosa devo fare.-
Gomes stava per prendere la valigia, ma l’uomo la ritirò come a volerlo tenere ben saldo all’amo.
-Deve farlo portare qui, in un club privato aperto da poco. Ha capito?-
Gomes prese il bigliettino da visita che l’uomo gli aveva dato.
«Club Leon D’Oro. Circolo privato per soli uomini. Vietato l’ingresso ai minorenni e ai non soci.»
Gomes l’aveva sentito nominare. Era un club per ricconi, dove a lui non era mai stato permesso di
farvi parte. C’era non solo una lista d’attesa chilometrica, ma c’era anche tutta l’élite dell’intero
Brasile. Si diceva che lo frequentassero anche i milionari provenienti da tutto il mondo.
Ufficialmente era un circolo privato di svago per uomini d’affari, ma Gomes aveva capito che lì
dentro, si facevano cose tutt’altro che lecite. Ora che doveva far portare Miguel, gli fu tutto più
chiaro.
Lesse l’indirizzo, era lontano da Belo Horizonte. In una zona isolata di campagna.
-Ma perché non lo prende lei?-
L’uomo si sporse e lo guardò male.
-Con tutto quello che le sto dando, non deve fare domande, deve solo eseguire. Lei lo farà portare
da persone fidate, dove già sa. Io non posso espormi. Me lo aspettavo più sveglio, direttore!-
Si osservarono per qualche secondo, poi il direttore rise nervosamente .
Con tutto quel denaro, forse, avrebbe mollato quei mocciosi ad un altro direttore e se ne sarebbe
andato a vivere da un’altra parte.
-Farò quello che vuole.-
L’uomo accennò il suo consenso, con la testa. I due si strinsero la mano.
Gomes non riuscì a contenere la sua curiosità. Un po’ avrebbe avuto nostalgia di quel bel
ragazzone che gli gironzolava sempre attorno.
-Mi dica solo se starà bene. Solo questo.-
L’uomo non si aspettava quella domanda. Si passò l’unto fazzoletto sulla fronte, lo osservò
contrariato. Sbuffò.
-Fastidiosa questa sua curiosità, sa? Vedo che ci tiene molto, di solito non fa domande. A ogni
modo, Miguel starà bene, se farà il bravo. Nessuno vuole fargli del male, se è questo che teme.-
Era la bugia più grossa che poteva dire per quel frangente. Chissà di quel bel ragazzo cosa sarebbe
rimasto.
Dal tono con cui Nino lo disse, a Gomes venne un brivido all’inguine.
Chissà se sarebbe mai potuto succedere di entrare nel club privato Leon D’oro?

Miguel stava scherzando con due dei suoi più cari amici e compagni, ragazzi orfani come lui:
Rico e Portes, di solo un anno più piccoli. Ancora avevano la carica di eccitazione della piccola
festicciola del giorno prima. Non succedeva spesso di poter festeggiare. Avevano persino avuto la
possibilità di ascoltare la musica, cosa che accadeva raramente. L’unico svago di solito erano un
paio d’ore il pomeriggio nel cortile dove potevano giocare a pallone, e disputare le pelade. Miguel
era un campione nei palleggi, aveva ritmo anche per quello, e batteva sempre tutti nella durata dei
rimbalzi del pallone sul dorso del suo abile piede.
Miguel tra i suoi più cari amici con i quali era cresciuto rideva tranquillo, nonostante tutte le
privazioni e il postaccio dove si trovava. La pacatezza naturale di Miguel l’aveva salvato
dall’angoscia di essere senza famiglia, senza nessuno che al mondo potesse provvedere a lui.
Sapeva solo che diciotto anni prima sua madre l’aveva abbandonato in un reparto dell’ospedale
pubblico dopo il parto. In quel frangente nessuno aveva visto e sentito niente. La polizia non era
riuscita a rintracciare la donna che aveva partorito in anonimato quella povera creatura.
Miguel era stato chiamato “Miguel Martinez” a caso, dopo che alcuni infermieri avevano estratto a
sorte dei nomi.

Il ragazzo tra i suoi cari amici, Portes e Rico, si sentiva sereno.
Teneva sotto braccio il suo preferito Portes, con lui aveva un legame molto forte. Portes era molto
spiritoso, era portato per raccontare storielle spinte o per imitare Peralio alla perfezione. Miguelito
si stava sbellicando dalle risate. Portes ogni tanto lo osservava e ne approfittava, godendo di quella
vicinanza, adorava stargli attaccato. Rico e gli altri erano abituati al modo intimo e affettuoso di
Miguel nel trattare gli amici, nessuno ci faceva caso. Se Miguel sentiva che serviva un forte
abbraccio, non lo faceva mancare a nessuno. E a Portes ne riservava parecchi. Si sentiva legatissimo
a lui. E il compagno ricambiava con estrema gioia. Forse troppa.
Rico, fisicamente, era il tipico brasiliano scuro e riccio. Portes invece aveva delle caratteristiche
diverse, era mulatto e si faceva le raste, sembrando un bullo da strada. Ma come Rico e Miguel,
era anche lui un bravo ragazzo, solo molto sfortunato come molti lì dentro in quella specie di
carcere travestito da orfanotrofio. E si facevano compagnia, si davano conforto come meglio
potevano. Gomes era un dittatore e loro si coprivano a vicenda, sempre.
In quel momento Portes stava raccontando delle barzellette un po’ spinte, tutti e tre ridevano come i
matti. Portes era straordinario aveva un modo coinvolgente di parlare. Intanto si stringeva a Miguel.
Stare vicino a lui era il massimo del benessere per il giovane. Miguel vide arrivare il direttore che
dal fondo del corridoio gli aveva puntato subito gli occhi addosso. Il suo sorriso si spense. Portes e
Rico seguirono il suo sguardo e si ricomposero.
Gomes era dalla punizione facile. Miguel decise che era meglio non far capire a lui che si stavano
divertendo. Il ragazzo provava fastidio quando c’era il direttore nei paraggi.
Da sempre, quando Gomes Peralio lo guardava, lui provava una strana sensazione di disagio.
Sentiva che con lo sguardo esprimeva cose che con le azioni non poteva realizzare. Aveva avuto
sempre timore e sospetti terribili su di lui. Odiava starci assieme nella stessa stanza.
Sentiva sempre i suoi occhi addosso.

Gomes, dal fondo del corridoio, notò Miguel scherzare con quei scapestrati di Rico e Portes.
Notò subito che il giovane indossava una piccola canotta nera che evidenziava la muscolatura
naturalmente asciutta e tonica. All’istituto Hulas Miguel era il più bello, ma anche il più amato.
Gomes sentiva ogni tanto i commenti dei ragazzi. E tutti adoravano il bel biondino. Quel
cioccolatino di Portes poi gli stava sempre attaccato. Sospettò che i due prima o poi se la
sarebbero spassata insieme. Ma Peralio nelle sue perverse fantasie, se avesse potuto, se li sarebbe
portati a letto tutti e due in un colpo solo, magari dandogli qualche soldo per comprare il loro
silenzio. Il biondo e il moro. Si morse le labbra. Quella fantasia se la sarebbe portata nella tomba,
pensò con rammarico.
Peralio dovendo rinunciare definitivamente a Miguel, osservò Portes. Decise. Ma doveva stare
attento, il tipetto scuro era un soggetto dalla testa calda e all’occorrenza violento e doveva
studiarsela bene. In assenza di Miguel avrebbe sicuramente provato a possederlo. Il suo culetto
mulatto doveva essere la fine del mondo.
Ma adesso doveva parlare con la meraviglia bionda che tra poco l’avrebbe lasciato.
Si sarebbe rifatto quella sera stessa con un ragazzo che puntava da qualche tempo, che per qualche
soldo si sarebbe infilato volentieri nel suo letto. Di quei giovani persi già in partenza a Belo
Horizonte ne poteva trovare a palate. C’era molta povertà e un giovane che poteva contare su un
bell’aspetto approfittava e sfruttava questo momentaneo vantaggio vendendosi al primo offerente.
Si accinse a svolgere il suo compito.
Miguel e gli altri si ammutolirono di colpo.
Il direttore ignorò i due ragazzi e si rivolse a Miguel.
-Vieni nel mio ufficio Miguelito. Devo dirti delle cose importanti.- Gomes lo fissò, cercando di non
far cadere gli occhi sui pettorali e sulle braccia toniche e abbronzate del ragazzo. Portes si irrigidì e
lasciò il caldo e rassicurante braccio di Miguel, con fastidio.

Miguel notò lo sguardo strano e il modo di fare differente, del direttore, che sembrava persino più
gentile.
Il ragazzo batté il cinque con i suoi due amici e seguì il direttore che, senza aspettare nessuna
risposta, si diresse verso il suo ufficio.
-Ehi, Miguelito… cosa hai combinato? Tu che sei sempre un angioletto?- Fece Portes sotto voce,
ridendo. Poi il ragazzo, come faceva spesso, gli prese il viso e gli diede un bacio sulla guancia. Era
bello poterlo toccare e odorare il suo profumo di saponetta. Miguel era molto pulito, teneva molto
all’igiene. Il biondo brasiliano sorrise solare e alzò le spalle, facendo segno di non avere la
minima idea di cosa si trattasse. Lui si comportava sempre in modo impeccabile. Tutto per non dare
modo a Peralio di punirlo o di isolarlo dagli altri. Miguel oltre che delle sofferenze fisiche temeva,
forse più di tutto, la solitudine. Miguel amava stare fra i suoi compagni, e veniva ricambiato con lo
stesso affetto.
Portes fissò intensamente l’amico che si era girato per seguire il direttore, senza però farlo
notare. Portes sospirò dentro. Miguel, per lui, era tutto.
Gomes entrò nell’ufficio, aspettò il ragazzo e poi chiuse la porta a chiave.
Al giovane Miguel quel gesto lo inquietò, ma cercò di non farlo notare.
Il direttore si sedette dietro la sua grande scrivania e invitò Miguel a fare lo stesso.
-Bene, Miguelito. Oggi ho delle importanti notizie che ti riguardano.-
-Di cosa si tratta?- Chiese curioso.
Gomes sospirò e si accese un puzzolente sigaro.
Appena la piccola coltre di fumo si fu diradata dal suo viso, l’uomo gli sorrise. Forse per la prima
volta da quando lo conosceva che succedeva.
-Ti sei appena diplomato e con il massimo, e ti tocca la borsa di studio. E questo lo sai, no?-
-Sì, lo so.- Miguel non vedeva l’ora di avere i documenti e poter scappare da lì dentro. Non vedeva
l’ora di studiare medicina e diventare un cardiologo. Gli sarebbe dispiaciuto solo lasciare Portes e
Rico.
Gomes lo osservò per un lungo minuto, succhiando avido il suo puzzolente sigaro.
-E qui ci siamo… ma il Governo prima di lasciarti andare… chissà dove, con una ottima borsa di
studio, vuole che tu svolga, dolce Miguelito, delle ore di tirocinio presso una qualsiasi ditta o
impresa.-
Miguel non aveva mai sentito il direttore parlare in quel modo: “dolce Miguelito” proprio non se
l’aspettava, e poi per quanto riguardava il tirocinio obbligatorio, non aveva mai sentito parlare una
cosa del genere. Ma lui praticamente era sempre vissuto lì dentro l’istituto, e quando raramente
usciva veniva sorvegliato a vista.
-Allora, che succederà?- Fece preoccupato il ragazzo.
Gomes gli mise davanti una grossa busta bianca.
-Qui dentro c’è il tuo attestato di diploma e i moduli per la richiesta delle borsa di studio. Ma se
non vai a lavorare per un po’ di tempo, non posso consegnarti queste carte. E per te, io lo so, sono
importanti.-
Miguel deglutì. Per quanto tempo il Governo lo avrebbe tenuto lontano dal suo sogno?
-Cosa devo fare?-
Gomes sorrise. Il piano aveva funzionato. Gli dispiaceva farselo portare via, probabilmente non lo
avrebbe più rivisto, ma ormai era stato pagato per quella piccola missione. Lo osservò, l’avrebbe
tenuto sotto i suoi colpi per ore. Ma sorrise, cercando di rassicurarlo.
-Più tardi ti verranno a prendere delle persone incaricate dal comune e ti porteranno nel tuo nuovo
posto di lavoro. Poi chiederai spiegazioni a loro.-
Miguel non immaginava che la sua vita subisse quel cambiamento così improvviso.
-Di già… subito!-
-Sì, subito, prima cominci e prima avrai la borsa di studio. Cosa vuoi studiare? Non me lo hai mai
detto.-
Il direttore lo osservava avido.
Miguel si stranì, il direttore non gli aveva mai chiesto niente, si era solo limitato ad guardarlo in
modo strano, continuamente.
-Voglio studiare medicina.-
-Wow… sogno ambizioso per uno come te, anche se sei bellissimo.- Quella frase gli scappò dalla
bocca, si morse mentalmente la lingua, se ne pentì immediatamente.
Miguel abbassò lo sguardo imbarazzato, i suoi sospetti erano giusti. Peralio, se avesse potuto,
l’avrebbe molestato. Aveva sempre avuto il terribile sospetto che alcuni ragazzi fossero stati
trattati dal direttore in modo non consueto. Una cosa era certa, dopo i suoi “trattamenti” tornavano
stravolti. Alcuni sparivano per settimane, per tornare cambiati in peggio.
Ma quell’uomo, lì dentro, era una specie di dittatore. Tutti ne avevano paura.
Gomes si sporse, gli prese il mento con le punte delle dita puzzolenti. Gli sollevò il bel viso colore
dell’ambra. Osservò avido le sue labbra, belle, carnose e disegnate. Le avrebbe prese a morsi e gli
avrebbe fatto male. Con Miguel, sentiva, che avrebbe perso subito il controllo. Lo fissò per qualche
secondo, quello sguardo smarrito lo stava facendo eccitare come un animale. Sorrise. I grandi
occhi verde chiaro erano due laghi sconfinati di tristezza e di incertezza. Stregavano chiunque li
guardasse intensamente.
Il direttore provò un fremito a livello intimo, quel ragazzo lo faceva impazzire, se avesse potuto lo
avrebbe tenuto per sé. Ma doveva consegnarlo.
-Caro ragazzo. Andrà tutto bene. Il Governo lo fa solo per darti un mestiere nelle mani. Se ti
dovesse andare male con gli studi, almeno saprai fare qualcosa.- Se fosse stato vero, il discorso
avrebbe potuto anche reggere. Ma Gomes, se lo era inventato di sana pianta.
L’uomo fece una piccola carezza sulla guancia del ragazzo. Poi si rimise al suo posto.
Il ragazzo provò repulsione. Le sue dita sapevano di fumo, e il suo alito di alcol.
-Capito Miguel?-
-Sì, ho capito. E non ho scelta?- Disse guardando la grande busta bianca.
Gomes alzò le sopracciglia, facendo di no con la testa.
-No ragazzo. Adesso esci di qui, va nella tua stanza e raccogli le tue cose. Saprai tutto il resto a
destinazione. Appena saranno arrivati gli assistenti sociali, ti farò chiamare.-
Miguel si alzò, infilò le mani in tasca e si avviò verso la porta. Gomes guardò avido il sedere alto,
rotondo e sodo del ragazzo, nonché le ampie spalle che gli davano l’aspetto di un giovane
guerriero.
Io capelli lunghi lisci e biondi, che gli coprivano tutto il collo, gli davano un aria di mistero e di
fascino.
Miguel, abbattuto, prima di andare via gettò uno sguardo agli incartamenti che il direttore teneva
sulla scrivania. Gomes gli sorrise. Il ragazzo trovò strana tutta quella gentilezza. Era tutto troppo
insolito.
Uscì, fece un accenno di saluto e chiuse la porta alle spalle.
Il Direttore strinse le mascelle, si toccò il centro delle gambe. Era duro come la roccia, chiuse gli
occhi e scosse la testa deciso. Si toccò per un po’, ma poi decise che si sarebbe sfogato dopo con
un altro. E sorrise tra sé e sé.
Sarebbe diventato socio, a tutti i costi, del Club privato Leon D’Oro.

**************

Homer Nesciville si ammirava allo specchio. Dopo la striscia di coca che aveva appena tirato su col
naso, si vedeva persino più bello. Di quella roba non poteva più farne a meno. Ma lui, quel
maledetto vizio, poteva permetterselo.
Di padre britannico e madre Brasiliana, si sentiva un dio feroce e potente. E tutto quel potere gli
piaceva da matti.
Si osservò, la droga lo stava esaltando. Era fiero di essere un brasiliano bianco.
Aveva preso solo le caratteristiche paterne. Era chiaro di pelle, alto e forte come un toro, come lo
era stato Montgomery Nesciville senior.
Il suo sarto personale gli aveva appena consegnato un nuovo abito di lino.
Lui era alto due metri per duecento chili di peso, e i suoi abiti erano tutti fatti su misura.
Si mise di lato allo specchio, per vedere senza pancia l’impressione che faceva. Di mettersi a dieta
non ne aveva voglia, ma all’aspetto fisico ci teneva. Ogni anno si faceva una liposuzione
all’addome, per poi potersi permettere di mangiare di tutto. Era la sua personale e immediata dieta.
E poteva permettersela, lui era ricchissimo.
Era padrone di decine di pozzi di petrolio sparsi in tutto il Brasile, ma era a Belo Horizonte la sua
centrale operativa.
Il padre, petroliere prima di lui, aveva deciso di stabilirsi definitivamente in Brasile dopo aver
conosciuto Manuelida Foles, sua moglie. Poi era nato Homer e avevano deciso di farlo crescere
nel paese del movimento e dei colori per eccellenza. Ma Homer invece di ricevere il calore e la
bellezza di quel paese, era venuto su brutto e cattivo.
La sua mole e la sua faccia sempre arrabbiata intimorivano tutti. La moglie, Pauline, ne era la
prima vittima.
Ma lui l’aveva sposata solo per facciata. Non avrebbe fatto una buona impressione negli affari e
nell’alta società, mostrando i suoi veri gusti in fatto di sesso.
E poi aveva sempre avuto il pallino della prosecuzione della razza Nesciville. A lui serviva una
bella donna e dei figli. E ciò aveva ottenuto.
Ma tutto senza il minimo amore e riguardo per sua moglie.
Pauline era stata una modella. Poi aveva incontrato la sua fortuna, e poi il suo incubo. Homer.
A lui aveva dato sue figli maschi, Montgomery junior e Surel. Due ragazzi che oggi avevano
diciassette e quattordici anni.
Pauline sapeva che lei era servita ad Homer Nesciville solo per dare una parvenza di normalità
alla sua vita perversa e immorale. E per amore dei soldi e del benessere, si era trovata un vero orco
accanto.
Homer era tutto il peggio che si potesse immaginare, tranne che normale.
Il petroliere sorrise pensando alla sua serata al Leon D’oro.
Aspettava da tempo quel momento. Nino gli aveva promesso il meglio. Lui aveva visto le foto
durante tutta la crescita, dai quattordici anni in poi. E non aveva esitato a versare mensilmente
quella cifra per tenere quella meraviglia per sé… per quando “lui” fosse diventato maggiorenne.
Homer era perverso e cattivo, ma non era stupido. Di quel bel puledro ne era rimasto incantato e
eccitato da subito, dalle prime foto che aveva visto. Era stupendo, il meglio tra tutti finora. Ma
all’epoca era troppo giovane. E gli era toccato aspettare.
Sorrise a se stesso riflesso allo specchio, indossò una bella giacca finemente rifinita. Si riempì le
mani di acqua di colonia, forse troppa. La migliore sul mercato.
Passò le grosse dita fra i capelli neri e lucidi di cera, e uscì dalla sua camera.
Homer aveva un incantevole villa a due piani sulla parte più a nord di Belo Horizonte.
Attraversò il lungo corridoio del piano notte, vide la moglie pallida e nervosa venirgli incontro. Lui
serrò la mascella, quella sera non voleva discussioni.
-Dove vai?- Fece Pauline osservandolo tutto in tiro, profumato fino alla nausea.
Lui ficcò nervoso le mani in tasca per evitare brutte reazioni. Da un po’ Homer non riusciva più a
contenere gli scatti d’ira. Pauline ne portava già parecchi segni in tutto il corpo.
-Esco. Non si vede? Che vuoi?- Fece serio.
-Surel… ricordi? Gli avevi promesso di aiutarlo con il modellino.-
Homer sospirò, si passò una mano fra i capelli.
-Lo farò domani. Stasera ho una cena di lavoro e poi pernotterò fuori. Digli che domani nel
pomeriggio lo monteremo insieme.-
Detto ciò stava per andare via ma lei non mollò la presa. Gli si parò davanti.
Homer strinse i pugni.
-Ci rimarrà male… sono settimane che gli dici sempre la stessa cosa.-
Lui perse la pazienza e l’afferrò per le braccia stringendola.
-Ascoltami bene… se dico una cosa, quella è… non devi insistere. Ora io esco… e domani
riparleremo di tutto.- Lui se non si fosse sgualcito il bel vestito l’avrebbe volentieri presa a schiaffi.
Pauline sentì gli occhi inumidirsi, avvertì anche tanto dolore alle braccia, il marito era enorme e
aveva una grande forza. Una forza che lei assaggiava già da tempo. Nel peggiore dei modi.
Lui la spinse via, rischiando di farla cadere. La donna, scossa, si massaggiò gli avambracci. Con lo
sguardo basso e spaventato andò via.
Homer scosse la testa infastidito. Poi per calmarsi, uscì la foto che aveva sul suo smartphone e
sorrise. Quegli occhi e soprattutto quella bocca lo eccitarono, e gli avrebbero fatto passare tutta la
rabbia che già da tempo non riusciva più a contenere. Nemmeno quella merda in polvere, ormai ci
riusciva più.
Lui aveva bisogno di quello sfogo. E a dirla tutta, era la prima volta che gli capitava un passatempo
così bello, così tremendamente eccitante. Dopotutto aveva pagato salato quel conto. Per anni.
Ma ne sarebbe valsa la pena, Nino era sicuro che ne sarebbe uscito pienamente soddisfatto.
Era più lo osservava e più pensava che era davvero una meraviglia.
Sospirò e scese di sotto.
Una bellissima e lussuosa limousine bianca l’aspettava già da qualche minuto.
Pauline da una finestra del piano di sopra l’osservava con rancore e odio.
Già da parecchio sapeva del suo vizietto. E per una ex modella come lei, un tempo bella e
apprezzata, era una sconfitta morale su tutti i fronti. Prese il telefono e lo portò al mento.
-Mostro schifoso, è ora che paghi. Sì… penso che sia proprio arrivato il momento, spero tu sia
sputtanato per bene.- Fece sotto voce.
Miguel prese le sue poche cose e le infilò dentro un vecchio borsone.
Rico e Portes che avevano saputo del tirocinio obbligatorio lo osservavano un po’ tristi, stavano
perdendo il loro leader. Lui era sempre calmo e riflessivo. Miguel riusciva a far fare pace a tutti.
Chissà dopo la sua partenza come si sarebbero comportati tutti loro.
Portes già da un po’ l’osservava diversamente rispetto agli altri. Avrebbe voluto abbracciarlo e
baciarlo, non come semplice amico. Ma non poteva.
Sarebbe morto piuttosto che ammettere la sua diversità. E insieme agli altri faceva le battute
spinte sui giornalini pornografici che ogni tanto qualcuno dei ragazzi usciva fuori. Ma a lui delle
forme nude e provocanti delle donne non importava nulla.
Invece, malinconico, osservava il bel profilo di Miguel, il sorriso dai denti perfetti, la bocca carnosa
e ben disegnata. Si consolava ogni tanto dandogli delle maschili e virili pacche sulle spalle.
Prendendolo sotto braccio, schioccando qualche bacio sulle guance.
Solo che quei semplici gesti gli provocavano sempre un maremoto interiore.
Miguel lo guardò, ne percepì la tensione, e cercò di tranquillizzarlo. Tra i suoi due più cari amici,
pensò, Portes sembrava quello che soffriva di più al pensiero del suo allontanamento. Lo prese
sotto braccio e gli sorrise.
-Tra un anno vi aspetto fuori di qui, diplomatevi con ottimi voti, mi raccomando e… ci
prenderemo il mondo. Ok?- Fece il plurale ma guardò lui.

Portes sentì il suo cuore scoppiare. Era a pochi centimetri da lui e dalla sua meravigliosa bocca.
Avrebbe voluto baciarlo, intensamente, per ore… per poi buttarsi dalla terrazza, ma cercò di fare il
forte, l’amico normale.
-Certo. Lo faremo, ma sarà dura senza il tuo aiuto… tu sei un fottuto genio! Tu non sei umano
Miguelito.-
A quella frase, che Portes diceva ogni volta, Miguel sorrise come un matto.
-Delinquente, mi raccomando… studia e sta buono, non litigare con nessuno e tieni il grimaldello
chiuso a chiave, io verrò a trovarti presto, ok?-
Miguel lo chiamava sempre così. Portes aveva una spiccata tendenza per i piccoli furti, ed era un
mago a forzare le serrature di ogni genere.
-Ok Miguelito. Lo farò. Starò buono… per te. Già mi manchi, sai? Mi raccomando vieni a
trovarmi… a trovarci.- Il giovane lo guardò intensamente. Si sorrisero. Miguel gli diede un bacio
sulla guancia. Portes sentì l’umido delle sue labbra sulla pelle, il suo fiato… il suo calore, sentì il
cuore uscire dal petto.
Rico volle stringere anche lui il suo compagno, interrompendo l’intesa che si era creata tra i due.
Miguel avvertì tante cose, si morse il labbro, lasciò il braccio di Portes, abbracciò Rico e mise il
suo borsone sulle spalle.
-Dopo il lavoro, se potrò, verrò a darvi una mano con i compiti, sempre se Peralio mi farà entrare.
E poi qui devo tornare comunque… sempre lui, il direttore, ha i miei documenti per la borsa di
studio.-
Quell’allontanamento stava risultando pesante. Troppo! Si rese conto di essere legato anche lui a
doppia mandata con il suo delinquente preferito.
Miguel aveva notato un cambiamento profondo in Portes. Anche a lui sarebbe mancato da morire.
Da qualche tempo sentiva che il contatto fisico di Portes si faceva più intenso. Più coinvolgente.
Sentiva degli impulsi a cui non sapeva dare un nome.
E da quello che aveva capito, non sapeva come comportarsi. Sentiva delle cose contrastanti. Un
po’ di imbarazzo ogni tanto, quando il suo amico gli carezzava di nascosto il braccio o la mano con
piccoli e delicati movimenti. Quando nelle docce comuni, Portes, lo osservava diversamente dagli
altri. Quando lo guardava fisso, sorridendogli. Un fremito a cui non sapeva dare un nome.
La sera del compleanno Portes aveva fatto una cosa strana, interrotta solo dall’arrivo degli altri. Il
giovane mulatto si era fatto trovare nel dormitorio sul letto di Miguel. Gli aveva fatto segno di
sedersi.
“Ti devo parlare Miguelito, è importante.” Gli aveva detto fissandolo. Ma Miguel aveva solo avuto
il tempo di sedersi accanto a lui, curioso… e sentire che Portes lo cingeva per le spalle, che gli si
accostava ad un solo millimetro di distanza. I loro fiati si erano fusi. Portes poi gli aveva sfiorato
il viso con un dito. Gli si era accostato ancora di più e gli aveva appoggiando la testa sulla spalla.
“Adoro il tuo profumo Miguelito… tu, per me, sei qualcosa di speciale…ti devo dire una cosa…
ora o mai più…”
Ma erano arrivati gli altri e Portes si era alzato come se fosse stato scoperto a fare cose illecite e
quasi arrabbiato, se ne era andato via.
Miguel ne era rimasto turbato:
“… ti devo dire una cosa… ora o mai più…”
Il ragazzo sapeva solamente che gli piaceva stare con lui, a contatto con il suo corpo.
Ma essendo cresciuto solo fra maschi, si disse, era normale trovarsi a suo agio tra di loro.
Miguel non sapeva davvero che fare. Aveva scelto solamente di comportarsi nella maniera più
naturale possibile. Sperando di fare bene. Di solito quello che gli suggeriva il cuore era la cosa più
giusta.
Come i suoi amici lui era vergine e, giornalini a parte, non ne capiva granché di amore e di sesso.

Tutto quello che aveva appreso dentro l’istituto, sicuramente, non corrispondeva alla realtà.
Le riviste spinte che circolavano piene di immagini di donne nude, montate senza pietà da uomini
super dotati, non rappresentavano certo quello che tra una coppia che si voleva bene succedeva
realmente. Miguel sentiva che amare era sicuramente un’altra cosa. Un’altra dimensione.
E fantasticava spesso su come poteva essere l’amore, quello vero. Senza avere nessuno nella testa,
solo immaginando come ci si doveva sentire.
Osservò il ragazzo con cui aveva diviso l’infanzia.
Portes era irruento e a volte violento quando si arrabbiava, ma con Miguel sapeva essere la
dolcezza in persona. Portes si calmava solo se il suo bellissimo compagno biondo era nei paraggi.
E mentre i tre cercavano di far passare quegli ultimi minuti assieme, arrivarono una decina di altri
ragazzi. La notizia che Miguel Martinez finalmente uscisse da lì dentro per conoscere il mondo si
era sparsa a macchia d’olio. Tutti lo circondarono un po’ emozionati.
-Ehi Miguelito… dacci dentro, fatti più ragazze che puoi.- Fecero alcuni. Tutti applaudirono quella
frase.
-Strafigo come sei, ti cadranno ai piedi!- Fecero altri, gridando eccitati.
Portes lo osservava, ridendo debolmente. Miguel lo guardò e gli poggiò una mano sulla spalla.
Portes sentì il suo cuore battere forte. Sarebbe stato terribile stare lì dentro senza di lui.
-Ehi Miguel mi raccomando, le bionde… sono quelle più vogliose.- Disse uno dei ragazzi.
-Non è vero… sono le more!- Rispose un altro.
Miguel rise e divenne leggermente rosso, non aveva nessuna idea di come si parlasse alle ragazze
non avendole mai frequentate. Per lui era un mondo sconosciuto.
I ragazzi poi si calmarono, uno ad uno gli diedero il cinque emozionati e gli fecero gli auguri.
Miguel commosso per quella inaspettata dimostrazione collettiva di affetto, sentì gli occhi
diventare lucidi.
Una cosa che Miguel non si vergognava “mai” di fare davanti i suoi amici e compagni, era
emozionarsi ed esternare i sentimenti, magari anche con una lacrima.
-Grazie ragazzi. Siete fantastici, vi porterò sempre nel mio cuore. E mi raccomando…
diplomatevi tutti, fuori non c’è posto per gli ignoranti e i perdi tempo. Io, se posso, verrò a
trovarvi.-
Ci furono delle acclamazioni generali. Portes lo osservò con gli occhi lucidi.
Miguel lo guardò a sua volta. Gli fece un sorriso appena accennato e gli schiacciò un occhio. Era
un loro modo per dimostrare la vicinanza l’uno con l’altro.
Portes si sentì morire e rinascere allo stesso momento. Tra un anno, cascasse l’intero universo,
sarebbe corso da lui, ovunque Miguel si fosse trovato. Se lo giurò in quell’istante. Avrebbe vissuto
per quel momento. E dopo, fuori di lì… gli avrebbe detto quello che c’era nel suo cuore, solo per
lui.
Ma dal fondo del corridoio il direttore e due uomini in abito scuro avanzavano verso l’allegra e
eccitata compagnia.
L’uomo fece segno a tutti di andare via. Pian piano i ragazzi lasciarono il corridoio. Portes si
concesse un ultima occhiata al suo compagno prediletto e, insieme agli altri, andò via.
Miguel provò qualcosa che non si aspettava. Avrebbe voluto corrergli incontro e stringerlo forte.
Ma si contenne. Avvertì una sensazione strana, non piacevole, una perdita emotiva e fisica.
Cercò di essere forte. E non sapeva dare un nome a quello che provava. Nemmeno Miguel si
conosceva bene.
Il direttore arrivò con due tipi grandi e grossi che tutto sembravano, tranne che assistenti sociali.
-Bene Martinez, questi due signori ti porteranno nella tua nuova casa alloggio, ti mostreranno il
lavoro che dovrai fare.- Fece il direttore avvicinatosi.
I due osservarono, poco professionalmente, il ragazzo e si diedero tra loro una strana occhiata.
Miguel osservò Gomes Peralio. Si avvicinò un po’ a lui.
-Arrivederci direttore, mi custodisca i documenti per la borsa di studio. Ok?- Disse serio.

L’uomo accennò un sorriso. E sentì la forza di quel giovane bello e aitante. Forse era solo
apparenza la sua dolcezza. E dentro si nascondeva invece un toro scatenato. Gomes si impedì con
fatica, di eccitarsi.
-Certo, caro Miguelito. Noi due ci vedremo presto, stanne certo.-
Dallo sguardo del direttore, Miguel, ricevette delle strane sensazioni.
Il ragazzo seguì i due insoliti assistenti del comune.

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