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“Biglietto di andata e ritorno” di Salvatore Paci – Capitolo 4

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Biglietto di andata e ritorno

un thriller di Salvatore Paci

Capitolo 4

Alle quindici e cinque minuti composi il numero di cellulare di Giuseppe Castrogiovanni.

«Ciao Antonio», esordì Gheppio Junior che aveva riconosciuto il numero.

«Ciao Giuseppe, che ne dici di vederci adesso?»

«Come vuoi. Aspettavo la tua telefonata. Ci incontriamo a casa mia?»

«No!» risposi seccamente. «Ci vediamo in contrada Pian del Lago, davanti al nuovo stadio comunale.»

La contrada Pian del Lago è la zona presso la quale si svolgono incontri, gare sportive, il mercatino settimanale, manifestazioni ricreative e religiose. È l’unico luogo della città nel quale è possibile praticare ciclismo, jogging, corsa e pattinaggio. Consiste in un agglomerato di strutture sportive tra le quali uno splendido stadio comunale e un palazzetto dello sport. Nelle vicinanze ci sono diversi campetti di calcio, pallavolo e basket. A rendere molto campestre quella zona sono gli alberi che costeggiano le strade. Con Roberta correvamo lì, tra gente che ama tenersi in forma.

Castrogiovanni Junior arrivò puntuale, scese dalla sua Mercedes E270 e, contrariamente a quello che mi sarei aspettato, mi affrontò guardandomi dritto negli occhi.

«So che ti devo delle spiegazioni. E te le darò, stanne certo. Anche se a malincuore.»

Detto questo aprì il bagagliaio e tirò fuori una cartella gialla con l’elastico.

«Però, prima, leggi con attenzione tutto quanto. Ti chiedo soltanto di non chiedermi niente adesso: capirai da solo. Non appena avrai finito, sarò lieto di incontrarti nuovamente.»

Mi porse la cartella senza staccarmi gli occhi di dosso e, dopo qualche secondo, rientrò nella sua auto, mise in moto e partì sgommando.

Pensai a quanto è buffo il mondo. Mi sarei aspettato un Giuseppe Castrogiovanni con la coda tra le gambe e invece non mi aveva permesso di dirgli nulla. Evidentemente sapeva che la mia curiosità per il contenuto della cartella avrebbe avuto il sopravvento su tutto il resto.

Roberta arrivò a Caltanissetta alle diciotto e quindici. Parcheggiò con il muso verso la strada e cominciò a raccogliere tutte le sue cose. Poi entrò nella mia automobile e mi soffocò con un piacevolissimo bacio.

«Ho stampato quel numero di telefono che mi hai mandato ma credo che non serva più, vero?»

«Esatto. Non serve più.»

«Ma quanto sei… sei… monello!» Mi sorrise compiaciuta. Sapevo che apprezzava tutte le astuzie tramite le quali riuscivo a ottenere qualcosa in più dalla vita.

Mi porse la mano con le dita divaricate e io le intrecciai alle mie. Ci piaceva guidare con le mani strette in quel modo e io ero diventato oramai bravissimo a cambiare le marce con la mano sinistra.

«Allora, dimmi tutto», continuò.

Mentre imboccavo la SS. Caltanissetta-Porto Empedocle Roberta mi chiese aggiornamenti.

«Be’, come ti dicevo stamattina al telefono, mi è venuto un forte sospetto su Giuseppe e ho voluto tendergli una trappola. Veramente la trappola avrebbe funzionato, ma in parte, anche se l’autore dello spionaggio non fosse stato lui. Insomma, ho pensato “se è davvero lui a controllare il mio PC, posso indurlo a scoprirsi”. Ti ho spedito quella mail con un numero di telefono dicendoti che apparteneva al nostro Alessandro. Lui, controllando la mia posta ha pensato di utilizzare subito quel numero. Quello che non poteva immaginare è che il numero era in realtà uno dei miei. Infatti, mi sono portato appresso un altro cellulare con quella scheda telefonica e lui puntualmente mi ha chiamato. L’ho riconosciuto e gli ho detto di tenersi pronto per un incontro durante la giornata. Era frastornato a causa della sorpresa e ha accettato senza fiatare.»

«Quando lo incontrerai?»

«L’ho già incontrato.»

«Ah, sì? E quando?»

«Meno di un’ora fa.»

«E come si è giustificato?»

«Be’, diciamo che non si è giustificato per niente.»

«In che senso?»

«È arrivato e, senza darmi il tempo di parlare, mi ha dato una cartella. Aspetta che la prendo.»

Mi fermai nella corsia d’emergenza, aprii il bagagliaio, la presi e rientrai in auto.

«Eccola. Dentro ci sono delle lettere. Da quanto vedo dalle prime righe credo siano state scritte da Castrogiovanni Senior. Adesso però non mi va di leggerle. Se sei d’accordo, le guardo stasera quando arrivo a casa e poi ti faccio un resoconto. Che ne dici?»

«Per me va benissimo ma… come mai questa cartella è uscita fuori soltanto adesso?»

«Cosa vuoi che ti dica? Comunque, adesso pensiamo a noi.»

Per circa un’ora girammo in auto senza meta, dopodiché ci recammo a casa di Roberta per la cena.

Tornai a casa mia intorno alle ventidue, un po’ frastornato a causa di tutte le emozioni provate durante la giornata. Diedi la buonanotte a Roberta durante la nostra solita chiamata notturna e concordammo di andare l’indomani al mercatino settimanale.

Dopo aver connesso i cellulari ai loro rispettivi caricabatteria, mi sedetti sul mio letto e aprii la cartella gialla che mi aveva dato Giuseppe.

C’era una serie di lettere.

Aprii la prima.

Carissimo figliuolo, nel momento stesso in cui scrivo queste righe spero fortemente che tu non le legga mai. Il mio desiderio attuale è quello di poter strappare, un giorno, questa ed eventuali successive lettere, pensando di averle scritte in un momento di crisi immotivata.

Se invece la stai leggendo, vorrà dire che quelle che per me adesso sono soltanto spiacevoli sensazioni, si saranno purtroppo materializzate.

Come sai, da un bel po’ di tempo, mi sono appassionato a questo maledetto Gioco del Lotto. Ho cominciato a leggere alcune riviste del settore e a studiare ogni tipo di statistica.

Dopo qualche anno di studio sono riuscito a pubblicare le mie previsioni su una rivista simile a quella che avevo sempre letto. Non scrivevo nulla sulle tecniche di gioco o sulle strategie. Mi limitavo a inserire soltanto i numeri che ritenevo più probabili, facendo intuire al lettore che ne avevo degli altri ancora migliori.

Infatti, in fondo al riquadro, riportavo il nostro indirizzo di casa per eventuali richieste di previsioni personali.

Come sai, diverse persone mi scrivevano e mi chiedevano come fare per ottenere le mie previsioni migliori. Io dicevo loro di mandarmi dei soldi in busta chiusa e li rassicuravo sul fatto che avrebbero ricevuto per posta lo schema delle giocate da fare per i successivi dieci colpi. Spesso accettavano la mia proposta e mi mandavano del denaro in cambio di una previsione.

So che non ero in grado di fornire loro una previsione affidabile e quindi ero indubbiamente in malafede ma quei soldi mi servivano per non far mancare nulla a te e a tua sorella. Per questo motivo ti prego di perdonare la disonestà di tuo padre.

La maggior parte dei lettori di quel mensile copiava in un quaderno le previsioni degli inserzionisti e le controllava dopo ogni estrazione, il sabato. Quando si accorgevano che uno di noi aveva azzeccato, per due o più mesi di fila, la previsione pubblicata, gli scrivevano per comprare una sua previsione.

Per questo motivo il mio introito variava di mese in mese. Quando la previsione pubblicata sul giornale dava esito positivo ricevevo molte lettere e, conseguentemente, molti soldi. Quando, invece, terminava il mese e quei numeri non uscivano, i miei affari andavano male.

Quando cominciai questo tipo di attività, il denaro che mi arrivava mi bastava e mi sentivo soddisfatto. Con il passare dei mesi divenni lentamente sempre più insoddisfatto.

Contrariamente a quello che si sarebbe potuto immaginare, non giocavo. Ero quasi convinto che questo gioco fosse basato solamente sulla fortuna e quindi non amavo rischiare. Simulavo delle giocate che trascrivevo in un block notes e ne controllavo l’esito di volta in volta. Avevo individuato dei metodi che nel passato avevano funzionato e ne studiavo l’evoluzione. Ti spiego in cosa consistevano questi miei metodi.

Quando iniziai a studiare il gioco del lotto, comprai un libro che conteneva tutte le estrazioni, dal 1871 al 1979. Naturalmente, dovetti aggiungere le estrazioni degli ultimi mesi. Le scrivevo proprio sotto i numeri stampati, sforzandomi di trascriverli esattamente e in maniera ordinata.

Ogni sabato, dopo il radio-giornale, dettavano i numeri estratti. Prima li segnavo su un foglio di carta e poi li trascrivevo con cura sul libro, nelle pagine ricche di caselle predisposte dall’editore.

Nel 1996 comprai una versione più aggiornata dello stesso libro. Quello vecchio era ormai inutilizzabile. Era pieno di appunti e non c’era più spazio per trascrivere i numeri. Infatti, già da un paio di anni, avevo cominciato a utilizzare dei fogli a quadretti che inserivo alla fine del volume.

Anche nella nuova versione, la serie dei numeri era divisa in anni e mesi. Un riquadro mensile poteva contenere quattro o cinque estrazioni, a seconda di quanti Sabati c’erano in quel mese. Nel marzo del 1997 nacque l’estrazione del mercoledì e, da tale data, cominciai a trascrivere i numeri in modo tale da fare entrare otto o nove estrazioni dentro il riquadro che era predisposto per contenerne al massimo cinque.

Per cercare di individuare una formula vincente, supponendo di trovarci alla fine del mese di dicembre, prendevo in considerazione il primo numero estratto nella ruota di Bari, o di qualsiasi altra ruota, alla prima estrazione del mese. Poniamo il caso fosse il numero quindici.

Sommavo a tale numero “il fisso 1” ottenendo così il numero sedici. Controllavo se nel mese di dicembre era sortito quest’ultimo numero. Se il controllo dava un esito positivo ripetevo l’operazione per il mese precedente: quello di novembre. Prendevo il primo estratto di Bari della prima estrazione di quel mese e gli sommavo il fisso 1, così come avevo fatto per dicembre.

Se, ad esempio, il numero era 44, la mia operazione mi portava a cercare il 45 nelle estrazioni di novembre.

Quando, andando a ritroso, la serie positiva si interrompeva, mi segnavo il numero di mesi durante i quali il metodo aveva funzionato.

A questo punto ricominciavo da capo, da dicembre, aggiungendo al primo estratto di Bari “il fisso 2” e così via.

Dopo ore di ricerca, dopo aver ultimato la serie con il “fisso 90” prendevo in considerazione quello che risultava essere il metodo migliore in quel momento. Ad esempio, scoprivo che sommando “il fisso 15” al primo estratto di Bari, avevo riscontrato una serie positiva che durava da dieci mesi. Ebbene, quello era per me il metodo da giocare.

Vorrei continuare a scrivere ma sto cominciando ad avvertire quelle strane sensazioni alle quali accennavo nelle righe precedenti e preferisco trasferirmi nella camera da letto. Lì sono… attrezzato per trascorrere la notte in maniera più serena. Qui, a infondermi coraggio, ho la solita compagna con la quale, purtroppo, da diverso tempo, divido le ore della notte e anche quelle del giorno: la bottiglia di Whisky.

Scusami se ho scritto in maniera disordinata ma sono stato costretto, in questa prima lettera, a concentrare un bel po’ di eventi in poche righe.

La lettera di Gheppio mi aveva affascinato. Si trattava in uno scorcio della sua vita raccontato da una persona chiaramente preoccupata. Avrei voluto continuare leggendo la seconda ma ero molto stanco. Riposi la lettera dentro la cartella, chiusi quest’ultima e la inserii tra due libri. Spensi la luce e decisi di dormire. Di solito mi bastava poggiare la testa per prendere immediatamente sonno ma questa volta c’era un pensiero che mi disturbava: quali erano le strane sensazioni a cui faceva riferimento Castrogiovanni? Perché diceva che nella sua stanza da letto era attrezzato per trascorrere tranquillamente la notte? Pensai all’innata paura per il buio che mi accompagna da quando sono nato, anche se in forma ogni anno meno intensa. Tutto quello che era misterioso e strano mi affascinava e mi eccitava a tal punto da farmi passare il sonno. Tirai la coperta fin sopra la mia testa – come se questa potesse proteggermi da ciò che avevo intorno – e cercai di dormire. Il sonno mi colse quando era già quasi ora di svegliarmi. Il mio riposo durò pochissimo e mi svegliai con un senso di insoddisfazione.

***

Sabato, 2 Aprile 2005

Dopo aver fatto un’abbondante colazione al Bar Astor con un cornetto alla nocciola e uno schiumoso cappuccino, andai a prendere Roberta per il previsto giro tra le bancarelle. Da almeno una decina d’anni il mercatino settimanale si svolgeva nel parcheggio adiacente al nuovo stadio comunale, in contrada Pian del Lago, dove meno di ventiquattro ore prima avevo incontrato Giuseppe Castrogiovanni. Visto dalla strada che portava al Bivio Minichelli, situata qualche metro più in alto, il mercatino si presentava come una coreografica accozzaglia di ombrelloni e tendoni dai mille colori che nascondevano alla vista tantissime persone affaccendate tra le bancarelle. Il primo problema da risolvere era costituito dal dover parcheggiare l’auto da qualche parte ma la mia solita fortuna mi aiutò. Riuscivamo già a sentire le grida dei venditori che proponevano la loro merce. Roberta si divertiva ad ascoltare le filastrocche che s’inventavano di volta in volta. Chi non ha mai visitato questo mercatino non può farsi un’idea precisa delle sensazioni che si possono provare in questo luogo ogni sabato mattina. È una sensazione di piacevole stordimento. Un paradiso per le donne che sono alla ricerca del vestitino a basso prezzo e per gli uomini che godono della visione di tante belle ragazze. In quel posto s’incontrano, oltre alle vecchie conoscenze, anche tantissime persone che normalmente non si possono incrociare per le strade a causa del loro stile di vita. È come se esistesse una città nella città. Un mondo nascosto, popolato da persone che trascorrono la maggior parte della loro vita tra le mura domestiche. Per quest’ultime il mercatino del sabato era uno dei pochi luoghi autorizzati da padri retrogradi o da mariti barbari.

Caltanissetta è una città all’avanguardia, però parte dei nisseni consuma la propria vita vegetando tra quattro mura, perennemente davanti a un televisore. Sono soprattutto coloro che abitano nelle zone più vecchie della città. Quelle dalle case fatiscenti, brutte fuori e umide dentro.

Pensavo che chi come me ama spostarsi in auto, vede soltanto i bei palazzi moderni o le meravigliose costruzioni antiche. Basterebbe spostarsi, a piedi, appena di qualche metro alle spalle del tanto decantato Palazzo Testasecca per rendersi conto di una realtà diversa e, per certi versi, atroce. Quelle che fino a un centinaio d’anni fa erano rispettabili palazzine a uno o due piani sono diventate ricettacolo di topi e di piccioni. Mi infastidiva il solo pensiero che in case così sporche potessero vivere degli esseri umani. È il caso della maggior parte di extracomunitari che vivono più o meno legalmente a Caltanissetta. Coloro i quali si sacrificano fino all’inverosimile pur di spedire qualche soldo ai loro familiari rimasti al loro paese natio.

Mentre pensavo a queste cose, Roberta stava rovistando tra le magliette di una bancarella. Accanto a lei sgomitavano una serie di signore di buona stazza che, a spintoni, si erano assicurate un po’ di spazio per poter frugare in santa pace tra le centinaia di magliette disposte disordinatamente davanti a loro. Approfittando di un’apparente espressione di soddisfazione colta nel suo volto, le proposi di continuare il nostro giro dentro quella bolgia di persone.

La nostra escursione al mercatino durò fino alle undici, dopodiché andammo al supermercato per fare un po’ di provviste, io per casa mia e Roberta per la sua. Infine andammo da lei per pranzare.

Nelle prime ore del pomeriggio affrontammo “il caso Castrogiovanni” perché fu lei a chiedermi notizie. Le dissi di aspettare e scesi in cortile per prendere la cartella dal bagagliaio dell’auto. Risalii, l’aprii e le porsi la prima lettera. Quando finì di leggerla le proposi di passare alla seconda.

Carissimo figliuolo, durante le prime ore della mattina mi sento più forte, più sicuro e, soprattutto, più al sicuro. È la luce del giorno a darmi questa forza. Come se il sole allontanasse, insieme al buio della notte, anche i cattivi pensieri e… la mia mente ne è piena.

Non sai quanto rimpiango la vita che conducevo prima. Prima di… tutto questo.

Se solo potessi tornare indietro…

Darei tutto quello che possiedo per non aver mai ceduto.

La vita purtroppo ti tenta. Cominci a fare qualcosa che ti piace e, quando vorresti smettere, non puoi più farlo.

A quel punto non sei più padrone della tua vita. C’è chi la governa al posto tuo.

Tu, se potrai, non cedere mai ai compromessi. Ogni cosa bella ha un equivalente valore negativo e, inesorabilmente, se accetti il piacere devi essere pronto a sopportare il dispiacere.

Scusami per il pessimismo che traspare da questi miei scritti. Se queste lettere le scrivessi di giorno, sicuramente risulterebbero meno tristi ma, purtroppo, di mattina devo andare a lavorare e preferisco riservare la notte per questo momento di intimità.

Intimità…

Un termine strano, vero?

Non so se si può definire intimità un momento come questo, nel quale ti scrivo una lettera che spero tu non legga mai.

È bene che mi affretti a spiegarti tutto quello che sta succedendo e che non mi dilunghi in argomentazioni che potremo, spero, trattare se e quando ci sarà più tempo a disposizione.

Ti parlavo dei metodi che elaboravo con molta, molta pazienza, rubando del tempo, ahimè, alla nostra famiglia.

Mi chiedevo: se una tecnica ha funzionato nei mesi precedenti, perché non dovrebbe continuare a funzionare anche nel futuro?

Mi appuntavo le previsioni derivanti da questi metodi e, alla fine del mese, verificavo se avessero dato vincita o meno. La cosa che mi faceva disperare era che, la maggior parte delle volte, l’esito era negativo.

La speranza di ogni appassionato del Gioco del Lotto è sempre stata quella di individuare un procedimento vincente. Ma… esiste una logica nella sortita dei numeri? Alcuni studiosi sostengono di sì. Io, da un po’ di tempo a questa parte, ho cominciato a nutrire seri dubbi. Credo sempre meno ai legami che alcuni miei colleghi pensano si creino tra i novanta numeri.

Forse, l’unico ad avere ragione è un amico che abbiamo in comune, che non vedo da molti anni ma che seguo costantemente. In seguito, ti dirò di chi si tratta.

Egli sostiene che non c’è relazione tra le varie sortite dei numeri. Afferma che è errato dire che ”nel passato un metodo ha funzionato”. Siamo stati noi ad aver visto quello che in realtà non esisteva: il metodo. Siamo stati così bravi a trovare una relazione tra i numeri che invece non esiste. A questo punto, ci siamo illusi di poter proiettare nel futuro ciò che “ha funzionato” nel passato. I risultati alla fine sono sempre deludenti.

Se fossi stato davvero intelligente, avrei smesso di cercare “la formula magica”. Mi sarei limitato a individuare le tecniche al solo scopo di far andare avanti quel meccanismo che portava nelle mie tasche un po’ di denaro proveniente da coloro che mi credevano un mago del lotto. Purtroppo, tutto il mio sapere non bastò a disilludermi e, in questi anni, ho continuato a cercare di raggiungere la mia meta.

Chi non vive certe fissazioni della mente, non può comprenderle appieno.

Mi alzavo e pensavo ai numeri, mi lavavo e studiavo i procedimenti che avrei elaborato durante la giornata. Pensavo sempre: quando guidavo, quando mangiavo, persino quando altre persone parlavano con me. Facevo segno con la testa come se stessi prestando attenzione, mentre invece la mia fantasia galoppava lontano.

Lo studio diventò una vera e propria malattia. Non riuscivo a pensare ad altro. Arrivai, pure, a pensare cose strane. Mi domandai se esisteva una via differente per arrivare “alla conoscenza”.

Leggevo storie di persone che sognavano un parente che dava loro dei numeri e questi puntualmente sortivano. Erano storie vere?

Se si trattava di storie vere… i morti conoscevano il futuro?

Cominciai a comprare libri di cabala e di magia. In alcuni erano documentati contatti con persone morte da diverso tempo. C’era chi organizzava sedute spiritiche e chi utilizzava altri sistemi. Uno tra questi è la psicofonia: una tecnica grazie alla quale, utilizzando registratori a nastro magnetico, si può comunicare con le anime dei defunti. Leggevo che bisognava collocare un registratore in una stanza e avviare la registrazione. Naturalmente tutto doveva avvenire di notte, quando i rumori di fondo sono ridotti al minimo. Ascoltando il nastro registrato, se si è abbastanza esperti, si può distinguere una voce dal solito fruscio presente in tutti i nastri.

La psicofonia m’interessò. Avrei potuto fare degli esperimenti comodamente, a casa mia.

C’era un vecchio registratore nel soggiorno e recentemente l’ho spostato nel mio studio. Non avendo musicassette vergini ne ho presa una di Mina che non ascoltavo più da anni e ho fatto la mia prima prova sovrascrivendo il lato A..

La mattina seguente, prima di andare a lavorare, ho provato ad ascoltare la registrazione. Mi ero alzato un’ora prima e, dopo aver ascoltato con la cuffia i trenta minuti del lato A, mi sono avviato deluso verso la sala giochi. Avevo sentito solamente dei fruscii. Ogni tanto si distingueva il rumore di un’auto che passava ma, dopo questo rumore, non si distingueva nient’altro che i rumori che lo stesso apparecchio produceva trascinando il nastro.

Quella stessa notte, prima di andare a letto, ho riavvolto la musicassetta per riascoltarla. Ho provato un senso di disagio nell’avviare la riproduzione. Era paura? Sì, mi accorgevo che era paura. Sentivo una strana sensazione e per farmi coraggio mi sono rifugiato in un buon bicchiere di Whisky.

Qualche minuto dopo riuscii a distinguere quello che non avevo sentito durante l’ascolto mattutino. Ad esempio, udivo il rumore di qualcuno che camminava. Ho capito immediatamente che ero stato io a fare rumore nel momento in cui, dopo aver avviato la registrazione, mi ero spostato verso la camera da letto.

Per una decina di minuti c’era solo un fruscio vario. Ascoltavo e bevevo. Mi rendevo conto che il Whisky mi rilassava e riuscivo a concentrarmi meglio. Dopo una decina di minuti ho sentito un rumore che di mattina non avevo notato. Ho portato il nastro un po’ indietro e l’ho riascoltato. Era un rumore di passi, dapprima lieve e poi, leggermente più forte. Come se qualcuno si fosse avvicinato al registratore. Ma io… in quel momento ero a letto. Lo ricordo benissimo. Ho riavvolto ancora una volta il nastro. Adesso riuscivo a intuire cosa era successo. Qualcuno si era avvicinato al registratore, era rimasto qualche secondo fermo e poi si era allontanato.

Ricordo di aver avviato la registrazione a mezzanotte esatta. A casa c’eravamo solamente io, tu e tua madre. Tua sorella naturalmente era a casa sua con il marito. Tu, lo sai benissimo, non ti alzi mai durante la notte e tanto meno tua madre. In ogni caso, mi ricordo di avervi chiesto se vi fosse capitato di alzarvi durante la notte e mi avete risposto entrambi di no. E allora? Di chi erano quei passi?

Ho iniziato ad avere paura e… anche adesso ne ho tanta. Continuo domani. Non posso rimanere ancora in questa stanza.


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Per info sull’autore e i suoi libri consultate il sito www.salvatorepaci.com

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